Ecco cosa fare quando la tua startup innovativa non decolla
Quando si lancia una startup innovativa si devono tenere chiare due linee maestre:
- la prima è essere consapevoli che la propria idea d’impresa sia in primis innovativa e scalabile sul mercato;
- la seconda è quella di conoscere tutti gli strumenti che il Governo ha messo a disposizione in questi anni dal lancio delle startup in Italia.
Se sul primo punto, molti imprenditori e startupper si sentono forti e determinati, spesso sul secondo punto mancano le giuste conoscenze, o magari si è assistiti da consulenti che non hanno competenza circa gli strumenti a sostegno di questo fenomenale status giuridico che è la startup innovativa.
C’è un dato, che a noi addetti ai lavori spaventa moltissimo, ed è rappresentato dal tasso di mortalità delle imprese innovative. Quasi il 90% di esse non riesce a sopravvivere sul mercato ed è destinata a fallire entro il terzo anno di vita. La letteratura scientifica e una moltitudine di riviste specializzate e divulgative hanno provato a spiegare ed analizzare nel tempo le cause di fallimento.
Ma in questo articolo non vi parlerò delle cause che portano al fallimento di una startup innovativa, bensì vi spiegherò cosa fare per evitare il fallimento, essendo contemplato tra le agevolazioni previste in materia, ed avviare una procedura semplificata che porterà alla chiusura in pochi mesi della vostra società o magari di ripartire nuovamente con la giusta carica.
Innanzitutto entriamo nel dettaglio dell’agevolazione in oggetto previsto dal D.L. 179/2012 ( che io personalmente chiamo la BIBBIA dello startupper ) cui viene stabilito che fino a che la startup è qualificata innovativa, ossia nei primi cinque anni (60 mesi) dalla costituzione della società e a condizione che permangano i requisiti richiesti per l’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, non può essere dichiarata fallita, né può essere sottoposta ad altre procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare.
Questo significa che i creditori non possono provocare l’apertura di procedure concorsuali, ma solo agire individualmente in via esecutiva.
Tuttavia la norma chiarisce che le startup innovative sono soggette esclusivamente alla procedura della composizione della crisi da sovraindebitamento prevista dal capo II della Legge 27 gennaio 2012 n. 3, così come previsto dall’art. 31 decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito con modificazioni nella Legge 17 dicembre 2012 n. 221.
A questo punto è chiaro che la startup innovativa in difficoltà ha due soluzioni:
- avviare un procedimento di composizione della crisi mediante un accordo con i creditori;
- avviare la messa in liquidazione dei beni
La motivazione che ha spinto il legislatore ad escludere le startup innovative dalla procedura del fallimento, applicando solamente la procedura inerente la crisi da sovraindebitamento trova la sua giustificazione nell’assenza di cash flow e quindi di disponibilità finanziarie che può trovarsi una startup innovativa durante la fase del di avvio.
La soluzione per la startup innovativa in difficoltà si chiama fresh start, cioè nella possibilità di stringere accordi di ristrutturazione e composizione dei debiti, per ripartire con un nuovo progetto, nonché una liquidazione veloce senza conseguenze penalizzanti.
Lo strumento del Fresh Start è previsto dalle deroghe alla disciplina della legge fallimentare che favorisce coloro i quali hanno investito nel capitale di imprese in cui esiste l’alta probabilità del manifestarsi di una crisi.
Per procedere ad un accordo di composizione della crisi, la startup innovativa presenta una proposta, corredata da un piano di riparto che prevede termini e modalità di pagamento dei creditori, nel rispetto di alcuni criteri fissati dalla legge in favore di determinate categorie di crediti (crediti impignorabili, crediti privilegiati, crediti fiscali).
Il procedimento si svolge con il supporto dell’organismo di composizione della crisi (le cui funzioni possono essere svolte dagli organismi di conciliazione presso le Camere di Commercio, dagli ordini professionali di avvocati, commercialisti e notai, da enti pubblici dotati di speciali requisiti, o, in alternativa, da un avvocato, dottore commercialista o notaio nominato dal Tribunale su richiesta) e sotto la vigilanza del tribunale.
L’accordo può essere omologato solo se viene approvato da tanti creditori che rappresentino il 60% dei crediti; in tal caso, diviene obbligatorio per tutti i creditori, anche dissenzienti, con titolo anteriore all’apertura della procedura.
Dottore commercialista e revisore legale. Giornalista pubblicista. Esperto in finanza innovativa e startup.
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