Dazi: Confesercenti-CER, possibile impatto negativo anche per i consumi delle famiglie, -11,9 miliardi di euro in due anni

Il terremoto dazi non coinvolge solo le esportazioni. La guerra commerciale tra Usa e Ue rischia di avere un impatto anche sul mercato interno, riducendo di circa 11,9 miliardi di euro in due anni la crescita dei consumi delle famiglie. A stimarlo è Confesercenti con CER.

A pesare l’effetto di sistema della guerra commerciale. La strategia dell’Amministrazione USA ha invertito le aspettative di mercato: si punta su una stagflazione dell’economia statunitense, che avrebbe sull’Italia un impatto negativo diretto aggiuntivo rispetto a quello dei dazi. Alla luce dell’attuale scenario, infatti, pur se suscettibile di imprevedibili evoluzioni, si prospetta per quest’anno una variazione del PIL vicina allo zero.  Un elemento di preoccupazione è anche la caduta dei mercati azionari, le cui dimensioni rendono improbabile un’inversione di tendenza nel breve periodo.

Viste queste considerazioni, rispetto alle stime precedenti ai dazi, Confesercenti calcola per i consumi delle famiglie una minore crescita dei consumi di 2,1 miliardi nel 2025 e di 9,8 miliardi nel 2026, per un totale di 11,9 miliardi. Rischi esistono anche sul fronte del turismo: i visitatori dagli Stati Uniti sono relativamente pochi (4,8% del totale) ma sono alto-spendenti, e portano in media 6,5 miliardi di euro l’anno di spesa sul territorio.

È importante intervenire a sostegno della filiera dell’export, ma senza dimenticare consumi e mercato interno, fondamentale per le piccole e medie imprese di commercio, turismo e servizi. Occorre lanciare un messaggio chiaro: l’arrivo dei dazi non deve interrompere il già troppo lento percorso di recupero del potere d’acquisto, e quindi della spesa delle famiglie, avviato negli ultimi anni”, commenta Patrizia De Luise, Presidente di Confesercenti. “In un mondo in cui si affermano nuove istanze protezionistiche a svantaggio delle esportazioni, i consumi sono un motore fondamentale per la crescita della nostra economia. Dopo il Covid, invece, la quota di questi sul Pil si è ridotta di quasi tre punti (dal 58,4% al 55,6%): una tendenza che andrebbe urgentemente invertita. Se da un lato è opportuno ‘trattare’ condizioni migliori per le esportazioni – sempre in sintonia con i nostri partner UE – allo stesso tempo dobbiamo lavorare per una strategia efficace di rilancio della domanda interna, confermando e ampliando gli attuali sostegni al reddito e contro il caro-energia, da cui molte piccole imprese dei servizi sono attualmente escluse. Le risorse possono venire anche da una nuova web tax: un intervento necessario per riequilibrare la concorrenza tra colossi online e imprese del territorio. Una misura su cui – visto il mutato quadro dei rapporti commerciali USA-UE – non ha più senso esitare: sarebbe un efficace strumento di tutela per l’economia reale, soprattutto per il commercio di prossimità, che subisce sempre più una concorrenza fiscale sleale da parte dei giganti online: allo stato attuale, secondo le nostre stime, circa 8 miliardi di euro l’anno di profitti dalle vendite online vengono delocalizzati dalle piattaforme internazionali, sfuggendo così di fatto all’erario italiano”.

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