Conti pubblici: Unimpresa, entro la legislatura 400 miliardi di debito da rinnovare
Vale quasi 400 miliardi di euro il debito pubblico da rinnovare entro la fine della legislatura in corso. Da oggi fino ad aprile 2023 scadono, infatti, 233,5 miliardi di btp, arrivano a fine corsa 106,9 miliardi di bot, 27,1 miliardi di cct e 29,2 miliardi di ctz: nell’arco dei prossimi 14 mesi, quindi, scadono titoli pubblici per 396,9 miliardi. In totale, i titoli di Stato in circolazione valgono 2.215,2 miliardi, dei quali 1.927,7 miliardi sono btp, 106,9 miliardi bot, 151,3 miliardi cct e 29,2 miliardi ctz. Questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa secondo cui nel 2022 il debito ancora da rinnovare è di 332,8 miliardi, nel 2023 di 256,2 miliardi, nel 2024 di 238,6 miliardi e nel 2025 di 201,2 miliardi. «Nonostante la presenza, alla guida del governo, di Mario Draghi, che evidentemente da solo non basta ad assicurare tutti gli interlocutori del Paese, lo spread è salito a quota 168,5 punti: la fiducia degli investitori internazionali e italiani sul nostro debito sembra ridimensionarsi progressivamente. La traiettoria del differenziale di rendimento tra Italia e Germania è segnata e la fine della legislatura inevitabilmente farà allargare la forbice. Frattanto, ci accingiamo a ricevere dall’Unione europea i 191 miliardi del Recovery Fund, dei quali solo 69 miliardi sono sussidi a fondo perduto mentre gli altri 122 miliardi sono prestiti da restituire ovvero nuovo debito, che cresce» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo l’analisi di Unimpresa, basata su dati del ministero dell’Economia, l’ammontare complessivo dei titoli di Stato in circolazione è pari a 2.215,2 miliardi: si tratta di 106,9 miliardi di bot, 151,3 miliardi di cct, 29,2 miliardi di ctz e 1.924,7 miliardi di btp. Nel dettaglio, nel corso del 2022, il debito pubblico ancora da rinnovare è pari a 332,8 miliardi: 99,8 miliardi di bot, 27,1 miliardi di cct, 29,2 miliardi di ctz e 176,6 miliardi di btp. L’anno prossimo scadranno 256,2 miliardi di obbligazioni pubbliche: 7,1 miliardi di bot, 23,2 miliardi di cct e 225,8 miliardi di btp. Nel 2024, poi, scadrà debito pubblico per 238,6 miliardi: 208,3 miliardi di btp e 30,2 miliardi di cct. L’anno ancora successivo – nel 2025 – impegnerà il Tesoro per rinegoziare 201,2 miliardi di titoli: 43,2 miliardi di cct e 158,1 miliardi di btp. Altri 188,8 miliardi di titoli pubblici arriveranno a fine corsa nel 2026: 11,4 miliardi di cct e 177,4 miliardi di btp, mentre nel 2027 i btp da rinnovare saranno pari a 111,7 miliardi e corrispondono, per ora, al totale del debito in scadenza; stessa situazione nel 2028, con debito da rinnovare tutto in btp per 125,3 miliardi, mentre nel 2029 a 60,5 miliardi di btp si aggiungono 16,1 miliardi di cct per complessivi 76,5 miliardi. Il 2030 torna a essere un’annata con soli btp in scadenza per 111,8 miliardi. Nel periodo 2031-2072, in totale, andranno rinnovati titoli (solo btp) per 571,9 miliardi.
A giudizio del Centro studi di Unimpresa, a partire dall’anno in corso, l’acuirsi delle tensioni sullo spread, cagionata dall’inflazione e dalla ripresa che sembra affievolirsi, potrebbe avere ripercussioni sulla gestione del debito pubblico. Gli appuntamenti col mercato, nel programmato calendario di emissioni stabilito dal Tesoro, non sono stati caratterizzati, finora, da situazioni critiche. Un quadro positivo favorito in particolare dalle misure di politica monetaria adottate e assicurate dalla Banca centrale europea. Tale “ombrello”, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente nel medio periodo, ad assicurare i sottoscrittori di titoli di Stato, in particolar modo i fondi e gli investitori istituzionali che poi determinano gli esiti delle aste e i relativi tassi di interesse, in relazione ai quali non sono da escludere possibili rialzi nei prossimi mesi. «Con più soldi da riconoscere ai detentori di titoli di Stato si riduce la coperta del bilancio pubblico: il governo avrebbe meno fondi a disposizione per sostenere la ripresa economica, in una fase cruciale post pandemia» aggiunge Spadafora, spiegando che «anche le frizioni nella maggioranza di governo contribuiscono ad agitare i mercati finanziari».