Combattere le discriminazioni non basta
La nostra sfida oggi come imprenditori, imprenditrici e manager è creare e mettere in pratica cultura e azioni di Valorizzazione delle diversità.
“La nostra ambizione è impostare lo standard per la Diversità, l’Equità e l’Inclusione (DEI) creando una cultura e una organizzazione che aiuti a garantire a ogni persona il potere di prosperare come se stesso eccezionale e di raggiungere il suo pieno potenziale. (Our ambition is to set the standard for DEI by creating the culture and systems that help ensure everyone is empowered to thrive as their exceptional selves and reach their full potential.) sostiene Kavitha Prabhakar, Responsabile della Diversità, Equità e Inclusione in Deloitte US.
Sono i nostri pregiudizi, stereotipi culturali, luoghi comuni che diventano bias, cioè distorsioni di cui non ci rendiamo pienamente conto, che influenzano il nostro pensiero e condizionano comportamenti, giudizi e decisioni, che portano ad atti discriminatori o escludenti nei confronti di ciò che è diverso da noi.
8 stereotipi e bias mentali che dobbiamo riconoscere in noi stessi e nel contesto in cui operiamo, per contrastarli:
- Stereotipi di genere: Sono le aspettative sociali e culturali riguardo a differenti ruoli di uomini e donne nell’impresa e nella società. Ad esempio, il presupposto che le donne siano più adatte a lavori di staff, di tipo amministrativo, nei servizi. E che gli uomini siano più adatti a ruoli di produzione, di assunzione delle decisioni, di comando nella gerarchia aziendale e di vertice nelle grandi realtà economiche, politiche e nelle istituzioni. (Una rondine non fa primavera).
- Bias etnici o razziali: Possono portare a pregiudizi e discriminazioni basate sull’origine etnica o razziale delle persone, valutandole a priori meno capaci di noi. Oppure giudicando la loro formazione culturale e sociale, che è differente dalla nostra, con lo stesso metro di misura che usiamo per la nostra cultura e organizzazione.
- Bias basati sull’età: L’idea che le persone più anziane siano inadatte a imparare nuove tecnologie, ma, grazie alla loro esperienza, più adatte a prendere decisioni. E che i giovani siano tendenzialmente irresponsabili e privi delle adeguate competenze derivanti dall’esperienza. Quindi non possiamo fidarci ad affidargli rilevanti responsabilità nel luogo di lavoro.
- Bias basati sull’orientamento sessuale: Questi bias si riferiscono a discriminazioni e atteggiamenti basate sull’orientamento sessuale delle persone. Ad esempio, l’omofobia o la transfobia.
- Bias basati sulle disabilità: Pregiudizi e discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità fisiche o psicologiche. Anche se abbiamo eliminato le barriere architettoniche inserendo rampe o porte in grado di far passare una sedia a rotelle i preconcetti riguardo a persone con disabilità sono difficili da eliminare, ad esempio quando consideriamo la progressione di carriera in azienda.
- Pregiudizi legati all’aspetto fisico: Esistono anche giudizi inconsci, positivi o negativi, basati sull’aspetto fisico delle persone, che possono portare a pensare “mi piace ciò che vedo, quindi è competente”. Oppure il contrario. Negli Stati Uniti sono nate associazione contro il “body schaming” vergogna del proprio corpo. La discriminazione nasce dai nostri stereotipi su modelli “ideali” di bellezza fisica per uomini e donne. Persone che non rispondono a tali requisiti possono sentire grave frustrazione, senso di inadeguatezza, provare vergogna verso il proprio corpo. Un atteggiamento di inclusione delle diversità anche fisiche nel posto di lavoro può fornire una rassicurazione importante.
- Bias basati sulla religione: Pregiudizi o discriminazioni verso persone che hanno fedi religiose differente dalla nostra. Una delle forme di inclusione delle diversità la notiamo già nelle mense aziendali dove sono previsti cibi senza carne di maiale per i collaboratori musulmani.
- Bias linguistici e culturali: Questi bias si riferiscono a pregiudizi basati sulla lingua o sulla cultura di una persona diversa dalla nostra, che possono portare a discriminazioni o esclusioni.
Il primo passo è diventare consapevoli dei nostri bias e stereotipi culturali da superare, promuovendo l’uguaglianza, la diversità e l’accettazione di tutte le persone indipendentemente da chi sono o da dove vengono.
Non vale solo all’interno dell’impresa.
“Ci concentriamo sull’equità e valutiamo sistemi, processi e politiche con lo sguardo rivolto a questo principio non solo all’ interno, per dare valore ai talenti e in tutte le attività rivolte ai clienti e operative. Ma anche nei territori in cui operiamo promuoviamo una cultura basata sulla trasparenza e sulla responsabilità, stabiliamo aspettative di comportamento inclusivo e solidale in grado di influenzare positivamente le comunità in cui viviamo e lavoriamo.” Conclude Kavitha Prabhakar.
La strategia DEI è a lungo termine.
Le nostre Pmi già si stanno confrontando con la diversità etnica, culturale e linguistica. Non solo perché è oggettivamente etico includere le diversità, ma perché sempre più nei reparti di produzione stiamo assumendo operatori di altre culture e razze.
E una strategia a lungo termine.
Non è un interruttore che si accende. L’importante è fare un passo avanti rispetto alla situazione nella quale siamo oggi.
Può diventare una barriera insuperabile oppure una grande opportunità di sviluppo per le nostre aziende e per le nostre comunità.