CGIA: lo Stato non paga. Per le PMI l’ammanco è di 55,6 miliardi
Non c’è solo l’emergenza caro energia e nell’ultima campagna elettorale nessun partito ha speso, invece, una parola contro una “storica” criticità. Tutti, purtroppo, hanno fatto finta di niente, come se il problema non esistesse. Invece, lo sanno bene le tantissime PMI coinvolte, sussiste, eccome. Stiamo parlando dello stock dei debiti commerciali di parte corrente della nostra Pubblica Amministrazione (PA) che ammonta, secondo le ultime stime, a 55,6 miliardi di euro. In buona sostanza, lo Stato centrale e le sue articolazioni periferiche continuano “colpevolmente” a non pagare i propri fornitori, costituiti prevalentemente da PMI e, quando lo fanno, ciò avviene con grave ritardo rispetto ai tempi di pagamento previsti dalla legge. A ritornare su questo tema è l’Ufficio studi della CGIA.
Il Comune di Napoli paga con un ritardo di 228 giorni
In Italia le commesse della nostra PA ai privati ammontano complessivamente a circa 150 miliardi di euro all’anno e il numero delle imprese fornitrici si aggira attorno a un milione. Per quanto concerne l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti (ITP) l’Ufficio studi della CGIA ha redatto una scheda dove ha elencato, per alcune delle più importanti amministrazioni pubbliche italiane, gli enti che nel 2021 hanno pagato i propri fornitori non rispettando le disposizioni di legge in materia di tempi di pagamento. Tra i ministeri, quello meno reattivo a saldare le fatture ricevute è stato l’Interno con un ITP pari a +67,09; ciò vuol dire che il Viminale liquida i propri fornitori con oltre 2 mesi di ritardo rispetto alla scadenza prevista dal contratto. Seguono le Politiche agricole con +42,28 e la Difesa con +32,75. Tra le amministrazioni regionali, invece, i maggiori ritardi nel saldare i pagamenti si sono registrati in Abruzzo con 62 giorni oltre la scadenza contrattuale, in Basilicata con 39,57 e in Campania con un ritardo medio di 9,74 giorni. Tra i comuni, invece, la situazione più critica si è verificata a Napoli. Sempre l’anno scorso, l’amministrazione comunale del capoluogo regionale campano i giorni di ritardo nei pagamenti sono stati 228,15, a Lecce 63,18 e a Salerno 61,57. Tra le Asl, infine, quella di Napoli 1 Centro ha pagato con un ritardo di 43,77 giorni, l’Usl Toscana Nord Ovest con 22,34 e la Napoli 2 Nord con 16,92.
La soluzione? Compensare i debiti fiscali con crediti commerciali
Quale suggerimento dare al nuovo esecutivo che si insedierà nelle prossime settimane affinché possa risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime PMI? Per l’Ufficio studi della CGIA va prevista per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. Senza liquidità a disposizione, infatti, tanti artigiani e altrettanti piccoli imprenditori si trovano in grave difficoltà e in un momento così delicato per l’economia del Paese è inaccettabile che i debiti della PA nei confronti degli imprenditori siano in costante crescita dal 2017.
Siamo maglia nera in Europa
Tra i 27 Paesi dell’UE, sempre nel 2021 nessun altro presenta uno score così negativo come il nostro. In Italia l’incidenza dei debiti commerciali della PA sul Pil è stata del 3,1 per cento. Dei nostri principali competitor commerciali, ad esempio, i debiti di parte corrente sul Pil della Spagna sono allo 0,8 per cento, nei Paesi Bassi all’1,2 per cento, in Francia all’1,4 per cento e in Germania all’1,6 per cento. Persino la Grecia, che l’anno scorso aveva un rapporto debito pubblico/Pil che sfiorava il 203 per cento, presenta un’incidenza dei debiti commerciali sul Pil quasi la metà della nostra: 1,7 per cento.
Pagano le fatture importanti, ma non quelle di importi minori
È corretto segnalare che negli ultimi anni i ritardi di pagamento, misurati con l’ITP, sono mediamente in calo, anche se secondo la Corte dei Conti4 si starebbe consolidando una tendenza che vede le Amministrazioni pubbliche privilegiare il pagamento in tempi brevi delle fatture di importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle di importo meno elevato. Una modalità operativa che, ovviamente, penalizza le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli “riservati” alle attività produttive di dimensione superiore.
La Corte di Giustizia dell’UE ci ha già condannati
Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private5. Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, nel 2021 la Commissione europea ha inviato al Governo Draghi una lettera di messa in mora sul mancato rispetto delle disposizioni previste dalla direttiva europea approvata 10 anni fa.
Infine, un’altra procedura ancora aperta contro il nostro Paese riguarda il codice dei contratti pubblici che prevede un termine di pagamento di 45 giorni, quando a livello comunitario la scadenza, invece, è di 30 giorni.
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