CGIA: il cattivo funzionamento della PA costa oltre il doppio dell’evasione
La mala burocrazia che purtroppo attanaglia la gran parte della nostra Pubblica Amministrazione (PA) provoca un danno economico ai contribuenti italiani stimato attorno ai 184 miliardi di euro l’anno. Un importo, quest’ultimo, più del doppio rispetto alla dimensione dell’evasione tributaria presente in Italia. Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), infatti, il mancato gettito annuo ammonta a 84,4 miliardi di euro.
Una provocazione
Quella denunciata dall’Ufficio studi della CGIA è una chiara provocazione che mette in evidenza un aspetto importante: nel rapporto “dare-avere” tra lo Stato e i contribuenti, l’aggravio economico delle “distorsioni” provocate dalla PA agli italiani ha una dimensione nettamente superiore alle mancate risorse che i contribuenti disonesti decidono di non versare all’erario. Detto ciò, se la qualità dei servizi offerti dal pubblico va assolutamente migliorata, è ancor più necessario contrastare l’evasione senza se e senza ma, ovunque essa si annidi. L’infedeltà fiscale, infatti, è una piaga sociale/economica inaccettabile che, tra le altre cose, penalizza i più deboli, perché riduce la qualità e la quantità dei servizi offerti dal sistema pubblico. Non solo. Non è nemmeno plausibile la tesi che non pagare le tasse sarebbe “giustificato” perché lo Stato funziona male. Se tutti pagassero quanto richiesto, la PA avrebbe più risorse a disposizione, probabilmente funzionerebbe meglio e si creerebbero le condizioni anche per tagliare in misura strutturale la pressione fiscale.
L’evasione è un problema, ma l’inefficienza della PA è il problema del Paese
Premessa: quella richiamata più sopra è una comparazione che non presenta alcun valore scientifico. Vedremo in seguito, infatti, che gli effetti economici dell’inefficienza della PA che gravano sulle imprese sono di fonte diversa, i dati non sono omogenei, a volte gli ambiti di applicazione si sovrappongono e, per tali ragioni, non si possono sommare.
La tesi: però, ha un suo rigore concettuale. Alla luce delle cifre richiamate ci porta a dire che una PA che funziona poco e male causa ai contribuenti dei danni economici molto superiori, addirittura più del doppio, di quanti ne subisce lo Stato da chi non compie il proprio dovere nei confronti del fisco.
Conclusione: l’evasione è un grosso problema che dobbiamo assolutamente estirpare, ma il vero problema per il nostro sistema Paese è mettere a punto una macchina pubblica precisa, efficace ed efficiente.
Sbagliato generalizzare
Ovviamente è sempre sbagliato generalizzare, anche la nostra PA può contare su punte di eccellenza a livello centrale e locale che – nei settori della sanità, della ricerca, delle telecomunicazioni, etc. – non hanno eguali nel resto d’Europa. Tuttavia, gli sprechi, gli sperperi e le inefficienze presenti nella nostra burocrazia pubblica sono una amara realtà che, purtroppo, hanno e continuano a ostacolare la modernizzazione del Paese.
Le criticità della nostra PA
L’Ufficio studi della CGIA ha ripreso ed allineato i risultati di una serie di analisi delle principali inefficienze che caratterizzano la nostra PA. In sintesi essi sono:
➢il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la PA (burocrazia) è pari a 57,2 miliardi di euro (Fonte: The European House Ambrosetti);
➢i debiti commerciali della PA nei confronti dei propri fornitori ammontano a 49,6 miliardi di euro (Fonte: Eurostat);
➢la lentezza della giustizia costa al sistema Paese 2 punti di Pil all’anno che equivalgono a 40 miliardi di euro (Fonte: ministro della Giustizia, Carlo Nordio);
➢le inefficienze e gli sprechi presenti nella sanità sono quantificabili in 24,7 miliardi di euro ogni anno (Fonte: GIMBE);
➢gli sprechi e le inefficienze presenti nel settore del trasporto pubblico locale ammontano a 12,5 miliardi di euro all’anno (Fonte: The European House Ambrosetti-Ferrovie dello Stato).
Come abbiamo già evidenziato in precedenza, gli effetti economici di questi malfunzionamenti, tratti da fonti diverse, non si possono sommare, anche perché in molti casi le aree di influenza di queste analisi si accavallano. Tuttavia, queste avvertenze non pregiudicano la correttezza del risultato della comparazione espressa più sopra.
Le stime “inattendibili” del MEF sull’evasione degli autonomi
In materia di evasione tributaria, spesso gli organi di stampa e molti autorevoli opinionisti citano i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF)3 che stimano in 84,4 miliardi di euro il tax gap delle entrate tributarie presenti nel Paese (media del periodo 2018-2020).
Entrando nel dettaglio di questa analisi, la tipologia di imposta più evasa sarebbe l’Irpef in capo al lavoro autonomo, per un importo pari a 31,2 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta che da anni sfiora stabilmente il 70 per cento. Questo vuol dire, secondo gli estensori di questa elaborazione, che poco meno del 70 per cento dell’Irpef non sarebbe versata all’erario dai lavoratori autonomi. Non entriamo nel merito della metodologia di calcolo utilizzata, ma ci limitiamo a dimostrare l’“inattendibilità” di questo risultato. Secondo le dichiarazioni dei redditi dei lavoratori autonomi in contabilità semplificata del Nord (praticamente artigiani e commercianti) hanno dichiarato mediamente 33 mila euro lordi nell’anno di imposta 2021.
Il 70% non ha dipendenti
Segnaliamo che oltre il 70 per cento di queste partite Iva è composto dal solo titolare dell’azienda (in altre parole lavora da solo o, al più, assieme a un collaboratore familiare). Bene. Se, come sostiene il MEF, queste attività evadono quasi il 70 per cento dell’Irpef, quanto dovrebbero dichiarare se fossero ligi alle richieste dell’erario? Il 130 per cento in più, ovvero quasi 76 mila euro all’anno. Ora, come possono “raggiungere” nella realtà una soglia di reddito così elevata se la stragrande maggioranza lavora da solo, quindi è poco più di un lavoratore dipendente, e al massimo può lavorare 10-12 ore al giorno, senza contare che durante questa fascia oraria deve rapportarsi anche con i clienti, con i fornitori, con altre aziende, con il commercialista, con la banca, con l’assicurazione e come tutti i comuni mortali può infortunarsi, ammalarsi, etc., etc.?
Non sono i nuovi “affamatori del popolo”
Ovviamente, nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente debellate. Tuttavia, altra cosa è sostenere che in media gli artigiani e i commercianti evadono il 70 per cento del loro reddito. Sebbene calcolato in modo molto raffinato, quando lo “mettiamo a terra”, questo assunto porta a conclusioni non “attendibili”. Non solo. È altrettanto insopportabile che molti organi di stampa e parecchi opinionisti utilizzino queste stime per accusare gli autonomi di essere “brutti, sporchi e cattivi”;ovvero, i nuovi “affamatori del popolo”. Una maggiore conoscenza del popolo delle partite Iva eviterebbe a molti osservatori di giungere a conclusioni non corrispondenti alla realtà.
Al Nord dichiarano il 33% in più dei colleghi del Sud
Osservando le dichiarazioni dei redditi per regione degli imprenditori individuali in contabilità semplificata (regime fiscale che coinvolge la grandissima parte degli artigiani e dei piccoli commercianti), le differenze reddituali sono evidentissime. Se, mediamente, al Nord si dichiarano 33 mila euro all’anno, al Sud solo 22 mila. Questo vuol dire che al Nord si dichiara il 33 per cento in più. Questa forchetta tende addirittura ad aumentare quando si analizzano le dichiarazioni dei redditi delle imprese individuali in contabilità ordinaria. Ovviamente questi divari sono sicuramente riconducibili alle diverse situazioni economiche e sociali presenti in queste due macro aree. Tuttavia, ha una rilevanza non trascurabile anche l’impatto dell’evasione fiscale di sopravvivenza che nel Mezzogiorno ha dimensioni importanti. In altre parole, il grosso dell’evasione fiscale in capo alle partite Iva va in massima parte ricercato nel Mezzogiorno, dove la precarietà e la marginalità di questi lavoratori riflette il forte disagio economico di questa ripartizione geografica. Analizzando i dati delle singole regioni, per quanto concerne le dichiarazioni dei redditi in contabilità semplificata, in Lombardia gli autonomi dichiarano 35.462 euro, in provincia di Trento 34.436 euro, in Veneto di 33.318 e in Friuli Venezia Giulia di 33.205 euro. Per contro, in Sicilia ci si attesta sui 23.946 euro, in Puglia sui 23.223 euro, in Campania sui 22.662 euro, in Basilicata sui 21.012euro,in Molise sui 19.610euro e in Calabria sui 19.551euro. La media nazionale è pari a 29.425 euro.
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