CGIA: flat tax, gli autonomi continuano a pagare più tasse dei dipendenti
Con l’innalzamento della flat tax fino a 85 mila euro di fatturato, gli autonomi continuano a pagare più tasse dei lavoratori dipendenti. Solo nella fascia di reddito tra i 60 e i 65 mila euro, le partite Iva che si avvalgono della tassa piatta pagano meno.
In tutti le altre comparazioni, vale a dire tra i 10 mila di reddito fino a 55 mila euro, gli autonomi pagano sempre molto più di impiegati e operai, con punte tra i 3.760 e i 3.875 euro all’anno nella fascia di reddito tra i 25 e i 30 mila euro, prelievo aggiuntivo che sale attorno ai 4.200 euro con redditi tra i 15 e i 20 mila euro. Se, poi, il confronto lo facciamo tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la flat tax, il maggior prelievo in capo a questi ultimi aumenta a dismisura, con punte, tra i 60 e i 65 mila euro di reddito, di oltre 6 mila euro all’anno.
Come dicevamo, la situazione cambia segno a partire dalla classe di reddito pari a 60 mila euro. In questo caso gli autonomi con flat tax subiranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore ai dipendenti di 640 euro. Se la comparazione avviene con un reddito da 65 mila, il vantaggio sale a 1.285 euro.
Il confronto tra queste due categorie professionali si ferma sulla soglia di reddito pari a 65 mila euro. Se alziamo ulteriormente l’asticella, il volume d’affari del lavoratore autonomo, implicitamente preso in esame in questa elaborazione, supererebbe il tetto degli 85 mila euro, livello oltre il quale non è più applicabile la tassa piatta. I calcoli sono stati realizzati dall’Ufficio studi della CGIA.
Potenzialmente interessati 140 mila autonomi
Quanti sono i potenziali lavoratori autonomi (ovvero artigiani, commercianti, liberi professionisti, consulenti, microimprenditori, etc.) che con lo slittamento all’insù della soglia di fatturato fino a 85 mila euro potranno beneficiare del vantaggio fiscale garantito dall’applicazione della flat tax? Dalla elaborazione dei dati statistici delle dichiarazioni dei redditi 2021 (anno di imposta 2020), potrebbero essere al massimo 140 mila. Ovviamente, gli effettivi beneficiari del regime di favore saranno di meno, in quanto queste partite Iva oltre a non superare il limite di ricavi/compensi di 85 mila euro dovranno rispettare ulteriori requisiti stabiliti dalla legge; tra cui, ad esempio, il non aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio o di collaborazione superiori a 20 mila euro.
Costo di 404 milioni di euro all’anno
Secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi 2021 (anno di imposta 2020), i contribuenti in regime forfetario ammontano a poco meno di 1.728.000. Secondo la Relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio 2023, si stima che l’ampliamento delle soglie di ricavi/compensi per accedere alla flat tax previsto dal Governo Meloni comporterà un costo aggiuntivo per le casse dello Stato di 404 milioni di euro all’anno.
Tanto rumore per nulla
Chi in queste ultime settimane ha gridato allo scandalo, pertanto, dovrebbe ravvedersi. Non solo perché nonostante la flat tax gli autonomi pagano più tasse dei dipendenti, ma anche perché la nuova versione per l’anno 2023 potrebbe interessare al massimo solo 140 mila partite Iva (pari al 4,2 per cento del totale del numero degli autonomi che attualmente non applicano la tassa piatta), con un costo per l’erario di “soli” 404 milioni di euro all’anno. Certo, l’obiezione di coloro che sostengono che con questo regime fiscale gli autonomi non rispetterebbero le disposizioni previste dall’articolo 53 della Costituzione è legittima. Ma solo in parte, in quanto chi esercita un’attività di impresa e di lavoro autonomo si trova in una situazione completamente diversa dai lavoratori subordinati. Tesi, quest’ultima, che rafforza la posizione di chi chiede ad alta voce che a coloro che non viene applicata la flat tax (in Italia oltre un milione tra imprenditori e lavoratori autonomi) bisognerebbe avviare quanto prima una progressiva riduzione del carico fiscale, visto che dal confronto con i dipendenti registrano un prelievo nettamente superiore.
Perché c’è un regime fiscale agevolato per le partite Iva
La fiscalità di vantaggio che interessa una parte delle partite Iva è ascrivibile al fatto che questi lavoratori sono più fragili degli altri. Hanno pochissime tutele: rispetto ai lavoratori dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime/quattordicesime. In caso di difficoltà momentanea non dispongono né di cassa integrazione né, in caso di perdita del posto di lavoro, di NASPI. È stato certificato che il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti. Ricordiamo, infine, che, secondo l’Istat, dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (inclusi anche soci di cooperative, collaboratori familiari, etc.) sono scesi di 205 mila unità, mentre i dipendenti sono cresciuti di 412 mila. Insomma, chi fa impresa rischia e per tutelare coloro che intraprendono una sfida così impegnativa bisognerebbe mettere a punto un fisco più giusto e meno oppressivo.
Metodologia di calcolo
Per ogni livello di reddito, e per ogni diversa tipologia di contribuente è stato calcolato il prelievo fiscale. Si consideri che il livello massimo di reddito che può essere realizzato in regime forfetario è pari a 66.300 euro, corrispondente al prodotto tra il limite massimo di compensi da rispettare per rimanere nel regime forfetario pari a 85.000 euro e il coefficiente di redditività pari (per le attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi e assicurativi), al 78 per cento. Il prelievo fiscale comprende anche quello previdenziale, a tal fine, per i dipendenti, si è considerato la sola quota di contributi a carico del lavoratore, si è calcolato l’Irpef e le relative addizionali, mentre per il contribuente in regime forfetario si è calcolata la flat tax. Le addizionali Irpef sono state conteggiate applicando le aliquote medie a livello nazionale come stima dei dati riconducibili alle dichiarazioni dei redditi (1,5 per cento per l’addizionale regionale Irpef e 0,656 per cento per l’addizionale comunale Irpef). Infine, per le prime due fasce di reddito non si è considerato il trattamento integrativo pari a 1.200 euro annui spettanti ai lavoratori dipendenti con redditi sino a 15.000 euro che avrebbe comportato rilevanti effetti migliorativi per i lavoratori dipendenti di queste due classi di reddito.