Cervelli in fuga, è controesodo: in aumento chi decide di tornare in Italia
Non ci sono dubbi, un periodo di lavoro all’estero arricchisce qualsiasi curriculum vitae. In certi casi, anzi, un’esperienza oltreconfine è quasi un obbligo: si pensi, per esempio al settore della ricerca, all’interno del quale un CV che non conta nemmeno una breve parentesi all’estero viene spesso valutato negativamente a priori.
Per questo motivo, nonché per le condizioni spesso migliori garantite da Paesi come Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e via dicendo, sono tantissimi gli italiani che negli ultimi anni hanno preferito accettare lavori in Paesi diversi dall’Italia, andando a ingrossare le fila dei cosiddetti cervelli in fuga.
Sono però tante le persone che – anche grazie agli incentivi introdotti dagli ultimi governi – decidono a un certo punto di tornare a lavorare in Italia, e che dunque si trovano di fronte alla necessità di ricollocarsi sul mercato del lavoro italiano. Un numero che in questo periodo post-lockdown è in deciso aumento.
Come affrontare questo delicato passaggio?
Con Carola Adami, head hunter e CEO della società di selezione del personale Adami & Associati (www.adamiassociati.
Quanti sono gli italiani che, dopo un periodo all’estero, decidono di tornare a lavorare in Italia?
Quella del “ritorno a casa” è certamente un strada che, ultimamente, è stata imboccata da un numero crescente di giovani emigrati all’estero. Ne abbiamo conferma quotidianamente, quando riceviamo i curricula di italiani che, pur essendo impiegati oltre confine, si candidano presso delle aziende italiane. E a confermarlo ci sono delle interessanti indagini effettuate negli ultimi mesi, a partire da uno studio effettuato dal Centro Studi Pwc mediante LinkedIn, secondo il quale 1 talento su 5 desidererebbe tornare in Italia.
Quali sono i motivi che spingono questi professionisti a tornare in Italia?
Ci sono tanti fattori che spingono un expat a guardare nuovamente con attenzione al mercato italiano del lavoro. Indubbiamente, però, l’emergenza sanitaria ha rafforzato e ampliato questo fenomeno, un po’ per la volontà di poter stare vicino ai propri cari, un po’ anche per le azioni messe in campo dallo Stato italiano a partire da marzo 2020, le quali sotto molti punti di vista sono state percepite come più efficaci rispetto a quelle elaborate da altri Paesi europei.
Quale è l’errore da non fare in questi casi?
L’errore che fanno in molti è quello di buttarsi subito nella ricerca vera e propria, senza un momento di riflessione. Questo è uno sbaglio che potrebbe costare caro, perché prima di mettersi alla ricerca degli annunci di lavoro è bene riflettere sulla propria esperienza professionale e sui propri obiettivi, capire cosa si può offrire alle aziende proprio in virtù della propria esperienza all’estero e via dicendo. Solo nel momento in cui si sarà costruito uno storytelling professionale efficace e focalizzato sulle proprie peculiarità e sui propri obiettivi ci si potrà muovere con successo verso le nuove opportunità lavorative.
Qual è il primo passo per chi desidera ritornare a lavorare in Italia?
Si parte come sempre dall’aggiornamento del curriculum vitae, con l’inclusione dell’esperienza lavorativa effettuata all’estero. Quando si parla di CV ogni dettaglio può fare la differenza, ed è quindi bene soffermarsi su ogni singola informazione per comunicare in modo chiaro, idoneo e coerente.
Una volta perfezionato il curriculum vitae vale certamente la pena ottimizzare il proprio profilo LinkedIn, visto che la maggior parte dei selezionatori italiani, infatti, utilizza ormai abitualmente questa piattaforma per individuare nuovi talenti. A tal proposito noi abbiamo inserito nel nostro organico dei consulenti di carriera, che sono pronti ad aiutare i talenti che desiderano ricollocarsi al meglio sul mercato italiano, pianificando al meglio il ritorno in Italia.