Cambio di azienda: quando si può ottenere un aumento di stipendio?
Come è noto a partire dalla pandemia le dimissioni sono diventate più “frequenti”. È infatti aumentato a livello globale il numero di persone che hanno deciso di troncare il proprio rapporto di lavoro: per stress eccessivo, per cercare una posizione più soddisfacente, per cogliere l’opportunità di una flessibilità maggiore, per andare incontro a una nuova sfida, per trovare un ambiente più adatto alle proprie competenze e attitudini, e sì, anche per ricevere una retribuzione migliore.
Ma attenzione: quando effettivamente un cambio di azienda porta con sé anche un concreto aumento dello stipendio?
La domanda si pone ovviamente per i cambi di azienda che prevedono la manutenzione dello stesso ruolo. Chi dice che cambiare datore di lavoro equivalga per forza a un aumento di stipendio? In effetti la cosa è tutt’altro che automatica. E se è vero che ormai in pochi casi il fattore economico è davvero quello che spinge a cambiare azienda, è vero anche che c’è una certa confusione su quelle che sono le effettive componenti della retribuzione, la quale non si basa unicamente sui parametri interni di un’azienda. Esistono, come è noto, contrattazioni a livello collettivo e nazionale, alle quali devono essere sommati altri elementi, come il costo effettivo del lavoro, l’inflazione e via dicendo. Non stupisce che le aziende più grandi possano contare, all’interno dei propri comparti HR, degli addetti specializzati proprio nella formulazione esatta degli stipendi, nella consapevolezza che agli importi definiti dalle linee guida generali si aggiunge un certo margine di movimento. Ed è per l’appunto all’interno di quest’ultimo che si situa l’opportunità di un eventuale aumento di stipendio.
E il lavoratore, quale ruolo ha in questo processo?
Secondo Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, prestigiosa società specializzata nella selezione di personale qualificato, il lavoratore che riceve un’offerta di impiego dopo un processo di selezione ha un importante compito: “La persona che, dopo un processo di selezione, si vede offrire un posto in azienda, deve informarsi sulla retribuzione proposta, avviando eventualmente una negoziazione”.
In questa fase, la presenza di un head hunter, un esperto nel recruiting specifico del settore, può risultare estremamente vantaggiosa sia per l’azienda che per il candidato. Questo professionista non solo facilita un processo di selezione rapido ed efficace ma è anche a conoscenza dei parametri retributivi medi associati a quella particolare posizione. La sua esperienza può quindi contribuire a garantire che l’accordo finale sia equo e soddisfacente per entrambe le parti coinvolte.
Il solo fatto di mutare azienda non si può quindi tradurre in un aumento di stipendio per il medesimo ruolo: sta al candidato dimostrare il proprio valore per l’azienda, così da poter centrare i propri obiettivi salariali.
“Non è da trascurare il fatto che per ruoli particolarmente ricercati e importanti per le aziende si registrano annualmente degli aumenti salariali medi importanti: si pensi per esempio alla crescita conosciuta negli ultimi tempi dai CFO, oppure dagli sviluppatori, o ancora, dai Data Engineer” prosegue Carola Adami.
“Ma quello che è sempre bene tenere in mente nel momento in cui si negozia la retribuzione con l’azienda è che le aziende hanno tutto l’interesse di migliorare l’offerta economica utilizzando elementi come benefit e welfare: ecco allora che i candidati selezionati dovrebbero valutare l’intero pacchetto retributivo, senza trascurare il valore di queste componenti secondarie”, conclude Carola Adami.