BDO Global Tax Outlook: la compliance fiscale in un contesto di continui cambiamenti normativi tra i problemi principali delle aziende in tutto il mondo
BDO, tra le principali organizzazioni internazionali di consulenza e revisione aziendale, ha pubblicato il primo rapporto Global Tax Outlook che, attraverso un’indagine condotta su 256 manager che lavorano nel settore fiscale-finanziario in oltre 50 Paesi di EMEA, Americhe e Asia-Pacifico, offre una fotografia della situazione attuale e delle sfide fiscali che le imprese devono affrontare in un contesto mutevole come quello attuale, in cui adeguarsi in maniera rapida ed efficace alle normative può diventare problematico.
“L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha imposto agli Stati un’importante riflessione sugli strumenti più idonei a prevenire e mitigare la recessione economica e gli strumenti di politica fiscale ancora una volta hanno svolto un ruolo determinante nelle scelte di governo. Unitamente agli effetti benefici di una politica di differimento delle scadenze fiscali, riduzione delle aliquote e riconoscimento di contributi/crediti di imposta, le imprese hanno però dovuto affrontare le sfide di un contesto normativo e interpretativo in continua evoluzione nell’ambito del quale le Autorità Fiscali hanno cercato di conservare – non senza difficoltà – un approccio coerente e di sistema”, ha dichiarato Eleonora Briolini, Partner Tax di BDO.
Sono 5 gli elementi principali emersi dalla survey di BDO e che sembrano accomunare le organizzazioni delle regioni prese in considerazione durante l’indagine.
1 – Il clima di incertezza generato dai continui cambiamenti delle normative preoccupa i leader delle organizzazioni: il 38% dei partecipanti allo studio appartenenti all’area EMEA, che nello studio è stata rappresentata da 137 intervistati provenienti da 26 Paesi (tra i quali figura anche l’Italia), ha dichiarato che l’adattamento e l’aggiornamento rispetto alle normative in ambito fiscale rappresenta la priorità principale, contro il 31% del campione complessivo. Cambiamenti e riforme che il 63% degli intervistati imputano a questioni politiche e ai partiti in carica e, per questo motivo, difficili da prevedere e, di conseguenza, da anticipare.
2 – La conoscenza e comprensione delle frequenti riforme fiscali – alcune delle quali legate al mondo della digital economy – e la maggiore pervasività dei contenziosi fiscali (domestici e cross border) costituiscono la sfida del tax manager di oggi, chiamato da un lato a contenere i connessi costi di compliance e dall’altro a seguire gli adeguamenti del modello organizzativo e di business in cui operano al mutato scenario normativo di riferimento.
Il 38% degli intervistati, infatti, mette al primo posto delle priorità la compliance alle normative fiscali, anche alla luce della richiesta da parte della autorità di fornire informazioni sempre più dettagliate. Mentre il 57% la inserisce tra le prime tre.
3 – La funzione fiscale comincia a essere vista come un asset strategico da valorizzare che non può più limitarsi a un semplice supporto ma deve diventare un business partner strategico in grado di migliorare i processi decisionali aziendali e incrementare i flussi di cassa.
L’approccio generale, tuttavia, resta ancora “passivo”, senza aver colto il reale valore che deriva dalla ri-elaborazione dei dati fiscali e ci si limita ad aggiornarsi senza dedicare budget specifici al potenziamento di questa funzione o alla formazione in materia all’interno delle aziende.
L’EMEA è risultata leggermente più avanti nel passaggio alla governance fiscale e a quadri di rischio incorporati nel business, integrati con i processi aziendali e monitorati in modo proattivo rispetto al campione globale. Inoltre, la funzione fiscale si sta evolvendo in modo diverso in tutta l’EMEA, con una differenza nell’esperienza e nelle aspettative tra i Paesi OCSE e non OCSE. Nei Paesi non OCSE, molti vedono già la tassazione come un “vero partner commerciale”. I Paesi OCSE in EMEA si attendono, invece, un’evoluzione in questo senso nei prossimi due anni.
4 – Una spinta al processo di integrazione può arrivare dagli strumenti digitali messi a disposizione della tecnologia che, se applicati in ambito fiscale, possono rappresentare un fattore abilitante per l’evoluzione della funzione fiscale nelle aziende e portare a una gestione più efficace della compliance e fornire valore. Tuttavia, sono poche le organizzazioni che oggi possiedono una strategia fiscale basata sull’utilizzo della tecnologia (16%).
Nonostante i vantaggi che ne deriverebbero sul medio e lungo termine, gli investimenti richiesti nell’immediato sembrano scoraggiare le aziende, che guardano anche ad altre alternative meno dispendiose.
Tuttavia, l’EMEA è risultata la regione più avanzata, con le organizzazioni che investono in tecnologia circa il 5% dell’intero budget della funzione fiscale, sia internalizzando o in out-sourcing: il 46% degli intervistati dichiara di spendere tra lo 0% e il 2% del proprio budget, contro il 44% del campione globale.
5 – La “total tax liability”, ovvero l’ammontare delle imposte dovute dall’azienda in ogni Paese, è un concetto generalmente conosciuto dalle organizzazioni, ma la sua importanza e strategicità non sembra stata essere colta in pieno nelle diverse regioni. In parte per le difficoltà legate alla necessità di adottare una nozione globale unica e uniforme e in parte per la scarsa disponibilità di dati fiscali comparabili e affidabili.
Il 62% delle organizzazioni situate in EMEA che ha partecipato allo studio ha dichiarato che il proprio Board possiede una comprensione “moderata” o “elevata” dell’“ammontare globalmente dovuto”. Il 59% è in grado, attualmente, di calcolare il carico impositivo complessivo ma solamente il 23% effettua questo calcolo utilizzando strumenti automatizzati integrati nei processi decisionali.
“L’Italia, grazie al contesto europeo di riferimento – ha intrapreso un percorso di continuo rafforzamento della compliance fiscale che vede nell’istituto dell’adempimento collaborativo il punto di approdo cui tutte le aziende dovrebbero ambire. Purtroppo -chiosa la dott.ssa Briolini – l’istituto è ancora ad appannaggio di pochi soggetti di grandi dimensioni i cui modelli organizzativi e di gestione della variabile fiscale forse già assicuravano un adeguato livello di consapevolezza e un soddisfacente livello di conformità. La strada per una reale integrazione della funzione fiscale nei processi decisionali delle aziende è ancora lunga da percorrere e pagheremo un ritardo, rispetto all’Europa e agli Stati Uniti, che come sempre si rifletterà sulla scarsa competitività del nostro sistema Paese”.