Allianz Trade: dopo i risultati delle elezioni americane, le relazioni tra Stati Uniti e Cina rimarranno tese

 Allianz Trade: dopo i risultati delle elezioni americane, le relazioni tra Stati Uniti e Cina rimarranno tese
  • Una nuova ma contenuta guerra commerciale potrebbe portare la crescita nominale del commercio globale al di sotto del 5% nel 2026 (-0,6 punti percentuali), mettendo a rischio le esportazioni per 67 miliardi di dollari in Europa e Cina, nel 2025-26 (la metà del totale).
  • I dazi sulle importazioni cinesi costano all’UE 38 miliardi di dollari all’anno, in confronto ai 17 miliardi di dollari all’anno degli Stati Uniti.
  • Italia: l’export addizionale atteso, nel 2025-26, in uno scenario di guerra commerciale contenuta sarà di oltre 40 miliardi di dollari.
  • Secondo le previsioni, la prossima generazione di hub commerciali aumenterà la propria quota di esportazioni globali del +1,6% nei prossimi cinque anni (raggiungendo i 1.274 miliardi di dollari).

Sebbene il commercio globale rimanga fortemente legato all’economia statunitense, la Cina, grazie al suo ruolo importante nella produzione globale e al suo ampio mercato interno in crescita, è emersa come nuova superpotenza. In questo contesto, secondo una nuova ricerca di Allianz Trade, leader mondiale nell’assicurazione dei crediti commerciali, le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno ridisegnando le catene di fornitura globali e aprendo la strada a nuove potenze commerciali.

Guerra commerciale riaccesa con il ritorno di Trump alla presidenza

Nel suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti, è probabile che Donald Trump aumenti i dazi sulle importazioni strategiche dalla Cina e da altri Paesi (del 25% per la Cina e del 5% per il resto del mondo, escludendo Messico e Canada), riducendo così la crescita nominale del commercio globale di -0,6 punti percentuali nel 2026, poiché la maggior parte delle misure entrerebbe in vigore dalla seconda metà del 2025. La Cina e l’Unione Europea sopporterebbero la maggior parte dei costi, con esportazioni a rischio per 67 miliardi di dollari nel 2025-26, specialmente nei settori dell’industria automobilistica, dei trasporti e dei metalli. Le loro misure di ritorsione potrebbero colpire i settori statunitensi della farmaceutica, dell’automotive, dei metalli, dell’agroalimentare e della meccanica.

In caso di una guerra commerciale totale (dazi del 60% sulla Cina e del 10% sul resto del mondo, inclusi Messico e Canada), il danno sulla crescita nominale del commercio globale aumenterebbe di 2,4 punti percentuali, e Cina, Messico e Canada sarebbero i più colpiti, con perdite di esportazioni cumulative che raggiungerebbero quasi i 217 miliardi di dollari nel periodo 2025-26. Tuttavia, questo scenario appare improbabile, poiché anche gli Stati Uniti dovrebbero affrontare costi significativi,” dichiara Ana Boata, Responsabile della Ricerca Economica presso Allianz Trade.

L’impatto sul Made in Italy

Prima delle elezioni negli Stati Uniti, si prevedeva che l’export addizionale atteso per il Made in Italy nel 2025-2026 ammontasse a 44 miliardi di dollari. Tuttavia, con la probabile guerra commerciale contenuta che si prospetta, ci si aspetta ora che siano inferiori di 3,3 miliardi di dollari, scendendo a 40,7 miliardi di dollari. In uno scenario estremo di una guerra commerciale su vasta scala, Allianz Trade prevede che l’export addizionale nel 2025-2026 diminuirebbero fino a 33,5 miliardi di dollari, 10,5 miliardi di dollari in meno rispetto alla stima precedente.

Il “godfathering” americano contro la dottrina della “seta” cinese

Il commercio globale è sempre più influenzato dalle agende geoeconomiche concorrenti di Stati Uniti e Cina. Mentre le importazioni statunitensi si sono rese indipendenti dalla Cina, quest’ultima ha esportato maggiormente verso i propri partner geopoliticamente vicini (Russia, Singapore, Vietnam, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita). In tale contesto, il commercio bilaterale tra Paesi geopoliticamente allineati è cresciuto di +2 punti percentuali (620 miliardi di dollari), raggiungendo una quota pari al 60% del commercio globale in soli due anni.

“La dottrina cinese della ‘seta’, incentrata sul commercio e sull’industria, ha fatto leva principalmente sul soft power e sull’influenza delle connessioni, mentre il “godfathering”, o padronato, americano poggia su quattro pilastri: (i) l’impegno incrollabile a proteggere gli interessi nazionali fondamentali a tutti i costi, (ii) la garanzia di lealtà all’interno della rete di alleati storici, (iii) un atteggiamento economico e militare fattivo contro i rivali e (iv) l’espansione dell’influenza e del controllo americani in nuovi ambiti come lo spazio, la tecnologia e l’IA. Indipendentemente da chi vincerà le elezioni americane, questo scontro è destinato ad andare avanti”, spiega Ano Kuhanathan, Head of Corporate Research di Allianz Trade.

L’allineamento con gli Stati Uniti comporta un costo elevato per l’UE

Sebbene gli Stati Uniti e l’UE abbiano una posizione comune sulle questioni geopolitiche, i loro interessi economici non sono allineati. Ciononostante, quando gli Stati Uniti impongono dazi alla Cina, l’UE tende a fare altrettanto – di solito l’anno successivo – anche se, secondo i calcoli di Allianz Trade, ciò comporta un costo più elevato per quest’ultima. I dazi imposti alla Cina costano agli Stati Uniti 17 miliardi di dollari all’anno (4% delle importazioni cinesi), contro i quasi 38 miliardi di dollari all’anno dell’UE (6,4% delle importazioni cinesi). Inoltre, la stessa UE non è al riparo dalle misure protezionistiche statunitensi ed esiste il rischio che Stati Uniti e/o Cina seguano una strategia divide et impera, sfruttando le divisioni interne all’Europa per perseguire accordi bilaterali che migliorerebbero le proprie posizioni negoziali nei confronti del blocco.

I nuovi hub commerciali stanno emergendo come vincenti, ma rendono più complesse le catene di approvvigionamento globali

Nei prossimi anni, è probabile che il commercio globale cresca al di sotto della sua media di lungo periodo (+3,0% nel 2025 e +3,1% nel 2026). Allo stesso tempo, l’indice di complessità delle catene di approvvigionamento di Allianz Trade mostra che i flussi commerciali globali stanno diventando più intricati, con livelli di complessità raddoppiati dal 2017 e 6 volte più elevati rispetto agli anni della pandemia. In tale contesto, Allianz Trade identifica 25 economie che potrebbero beneficiare del nuovo ordine geoeconomico, data la loro competitività relativamente più elevata rispetto alla Cina nel contesto di una guerra commerciale intensificata da parte degli Stati Uniti.

“Oltre alle economie in rapida crescita come l’India, questo cambiamento ha aperto le porte a nazioni come Vietnam, Malesia, Indonesia ed Emirati Arabi Uniti che potrebbero diventare gli hub commerciali di nuova generazione. Prevediamo che queste economie aumenteranno la loro quota di esportazioni globali di +1 punto percentuale nei prossimi cinque anni, raggiungendo i 930 miliardi di dollari. Poiché tali hub cresceranno fino a rappresentare il 16% di tutte le esportazioni globali entro il 2029, dovranno anche investire una cifra pari a 90 miliardi di dollari solo in infrastrutture portuali per mantenere il loro slancio”, aggiunge Françoise Huang, Senior Economist for Asia Pacific and Trade di Allianz Trade.

Scegliere da che parte stare nel nuovo ordine geoeconomico

Osservando gli hub commerciali di nuova generazione e i legami geopolitici, commerciali e di investimenti transfrontalieri che altre grandi economie hanno rispettivamente con gli Stati Uniti e la Cina, Allianz Trade calcola i punteggi della distanza geoeconomica rispetto a entrambi i Paesi. Tali punteggi mostrano che la sfera d’influenza della Cina comprende un maggior numero di hub commerciali di nuova generazione del mondo emergente, mentre la maggioranza del blocco occidentale rimane più vicina agli Stati Uniti.

Non sorprende che il Paese più vicino agli Stati Uniti sia il Regno Unito, seguito da Irlanda e Paesi Bassi, con il Canada al quarto posto e il Messico solo al 28°. La maggior parte delle nazioni africane e asiatiche sono più vicina alla Cina: in media 0,5 contro 0,7 di distanza con gli Stati Uniti per le nazioni africane e 0,4 contro 0,6 di distanza con gli Stati Uniti per le nazioni asiatiche. Ma dopo Hong Kong, il Canada risulta essere la seconda economia più vicina alla Cina, riuscendo a rimanere non lontano da entrambe le superpotenze.

“Australia, Corea del Sud e Grecia sono tra le altre nazioni che sono riuscite a mantenere la stessa distanza sia dagli Stati Uniti che dalla Cina. Questi Paesi sono geopoliticamente più vicini agli Stati Uniti, ma mantengono relazioni commerciali e di investimento molto forti con la Cina. Se il nuovo ordine geoeconomico incentrato sul confronto USA-Cina dovesse deteriorarsi in modo significativo, tale posizione potrebbe diventare sempre più scomoda e costringerli a scegliere da che parte stare”, spiega, infine, Françoise Huang.

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