Agenda digitale, 100 miliardi di fondi europei disponibili. PA “regista” per la trasformazione digitale del paese
L’Italia si è dotata di strategie coerenti per la trasformazione digitale e il Covid19 ha intensificato gli interventi per recuperare i gap storici. Con 50 milioni di italiani presenti in ANPR, 150 milioni di pagamenti gestiti tramite pagoPA, 170 milioni di fatture elettroniche alla Pubblica Amministrazione (PA), quasi 13 milioni di credenziali SPID e 18 milioni di CIE rilasciate, 8 milioni di download dell’App IO e 10 di Immuni, il Paese ha ormai posto solide basi per un proprio “sistema operativo” digitale. Eppure, siamo entrati nella crisi legata al Covid19 ancora al quart’ultimo posto in Europa per livello di digitalizzazione (25°su 28), con sensibili differenze tra Nord e Sud del Paese: secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) regionale elaborato dall’Osservatorio Agenda Digitale, Lombardia, Lazio e Provincia di Trento sono le regioni più “digitali”, mentre in coda ci sono Sicilia, Molise e Calabria.
Il digitale ha sostenuto l’Italia durante il lockdown ed è ormai considerato irrinunciabile per la ripresa. La PA è stata fondamentale nella gestione dell’emergenza e avrà un ruolo cruciale nei prossimi mesi per l’attuazione dell’agenda digitale, prima di tutto per la gestione dell’ingente mole di risorse europee disponibili: per i prossimi sette anni di programmazione europea l’Italia potrà contare su oltre 100 miliardi di euro per l’attuazione dell’agenda digitale, più le risorse che riusciremo ad attrarre da fondi diretti di investimento. Nella programmazione 2014-2020, siamo stati il primo Paese per fondi strutturali disponibili per l’attuazione dell’agenda digitale – 3,6 miliardi di euro – spendendone effettivamente solo il 34,5%. Senza una PA capace di innovare sé stessa, rischiamo di vanificare grandi opportunità per la ripresa.
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, presentata questa mattina al convegno online “Abilitare l’Italia digitale: la buona regia per ripartire”. “Dopo il ruolo cruciale avuto nella gestione dell’emergenza sanitaria ed economica, la PA ora è chiamata a essere uno degli attori chiave nel rilancio del Paese, non limitandosi a ridistribuire in modo assistenziale le risorse a disposizione, ma giocando un ruolo da ‘regista’ della trasformazione digitale – dice Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation -. Per rendere sistemico quanto fatto in questi mesi e non vanificare le tante risorse disponibili per la ripresa, la PA deve innovare innanzitutto sé stessa ed essere in grado di coinvolgere cittadini e imprese, dotandosi di regole chiare per favorire l’innovazione, sostenendo la crescita del mercato di soluzioni digitali, sviluppando progetti per il bene comune su cui allocare correttamente le risorse, in costante interazione con il mercato e nel rispetto dei relativi ruoli”.
Il DESI. Nel ranking del Digital Economy and Society Index 2020 l’Italia è 25esima in Europa per livello di digitalizzazione. I lievi progressi su alcune aree sono stati bilanciati dal peggioramento su altre, facendoci perdere 2 posizioni rispetto al 2019 e collocandoci davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria, lontani da Paesi simili come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. “La versione 2020 del DESI vede per l’Italia diversi ritardi da recuperare nelle cinque aree su cui è calcolato – spiega Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale –. Se nei livelli di connettività e digitalizzazione dei servizi pubblici siamo allineati alla media europea, nelle competenze digitali e nell’uso di internet registriamo i peggiori posizionamenti. È difficile pensare di riuscire a migliorare il nostro posizionamento nel breve periodo. Per farlo servono interventi strutturali e una riduzione delle differenze nei livelli di digitalizzazione degli enti pubblici”.
Il DESI regionale, calcolato dall’Osservatorio, consente di identificare con maggiore precisione le aree in cui intervenire per scalare la classifica europea e colmare i gap. In base a questo indice, la regione più digitale d’Italia è la Lombardia, con un punteggio pari a 72 su 100, seguita da Lazio, Provincia di Trento, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto, Provincia di Bolzano, Liguria, Umbria e Piemonte. Sotto la media nazionale si collocano invece Valle D’Aosta, Marche, Abruzzo Sardegna, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia, Molise. Ultima in classifica la Calabria, con un punteggio pari a 18,8.
L’Italia è tra gli ultimi Paesi in Europa per copertura di banda larga fissa. A metà 2019 il 78% delle abitazioni è stato raggiunto ad almeno 30 Mbps e il 61% a 100 Mbps. Siamo tuttavia il Paese con il miglior tasso di crescita nella copertura a 100 Mbps dal 2016. La sfida è arrivare al più presto alla copertura di tutto il territorio. Ma è necessario migliorarne anche l’utilizzo: a metà 2019 solo il 31% delle abitazioni usava una connessione ad almeno 30 Mbps, percentuale che scende al 13% i 100 Mbps. Solo il 38% delle imprese naviga ad almeno 30 Mbps, di cui il 13% ad almeno 100 Mbps. Tra i comuni, la fibra ottica è diffusa solo nel 32% degli enti. Nel corso del 2019 e del 2020 si è assistito a un atto di moto importante. C’è tuttavia ancora un pezzo di strada importante da percorrere per recuperare i gap con la media europea.
La strategia digitale. Sulla governance della trasformazione digitale l’Italia si è dotata di strategie chiare, riviste periodicamente, coerenti tra loro e con diversi indicatori per misurarne l’implementazione. La strategia “Italia 2025” prevede 20 azioni che aiuteranno a migliorare il posizionamento dell’Italia sul DESI, complessivamente con 80 risultati da produrre, di cui 42 con scadenze precise. Redatta prima del Covid, la strategia deve essere però rivista.
Il Piano triennale per l’informatica 2020-2022 prevede 48 risultati da produrre. Per 31 di questi sono già stati individuati indicatori e target precisi per i prossimi anni. Oltre ai risultati da produrre, il Piano prevede 285 azioni, di cui 83 da realizzare entro fine 2020. La sfida ora è coinvolgere efficacemente i quasi 6.200 responsabili per la transizione al digitale delle varie PA centrali e locali, oltre a sviluppatori di servizi pubblici e designer.
La nuova Strategia per le competenze digitali si basa su quattro obiettivi strategici a cui corrispondono altrettanti assi di intervento, ognuno responsabilità di specifici attori. In attesa del relativo piano operativo, a cui l’Osservatorio ha dato importanti contributi, è cruciale continuare a investire con forza sulla strada intrapresa.
Le risorse economiche. Nel 2019 le PA locali (comuni e regioni) hanno speso 1,8 miliardi di euro in soluzioni digitali, +6% rispetto al 2018. La regione che spende di più per il digitale è la Lombardia, circa 243 milioni di euro l’anno nel triennio 2016-2018 (24,1 euro a cittadino). Analizzando però il valore pro capite, a primeggiare è la Valle d’Aosta, con 535 euro ad abitante, mentre in Campania vengono spesi solo 2,3 euro per cittadino.
Una buona parte delle risorse viene dall’Europa. Nella programmazione europea 2014-2020, l’Italia è il Paese che ha ricevuto i maggiori fondi strutturali per l’agenda digitale, 3,6 miliardi di euro, contro una media di 765 milioni, per i due obiettivi tematici inerenti all’attuazione dell’agenda digitale, l’OT2, “migliorare l’accesso alle tecnologie digitali” (2,4 miliardi) e l’OT11, per l’aumento della capacità amministrativa delle PA (1,2 miliardi). In linea con la media europea, però, il nostro Paese ha speso solo il 35% dei fondi OT2 ed OT11 stanziati a fine 2020. Il 57% delle risorse è gestito dalle regioni: solo Puglia (81%), Valle d’Aosta (68%) e Lazio (58%) ne hanno speso più del 50%, mentre quella che ha ottenuto (373 milioni) e speso (162) la maggior parte dei fondi è la Sicilia.
Nel nuovo ciclo di programmazione europea per il periodo 2021-2027 – 1.800 miliardi di euro, il maggiore pacchetto mai finanziato dall’UE – l’Italia potrà beneficiare di oltre 100 miliardi di euro già dal 2021: oltre 40 miliardi per le politiche di coesione e circa 65,5 miliardi a fondo perduto per il piano ripresa e resilienza, di cui il 70% per progetti da attuare nel 2021-2022. A queste si affiancheranno le risorse che riusciremo ad attrarre dai fondi diretti di investimento, come Horizon Europe.
“Per un buon coordinamento della ripresa del Paese, la PA deve spendere meglio in digitale, sperimentando soluzioni emergenti, favorendo gestioni associate, attraendo e trattenendo giovani qualificati – dice Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale -. L’Europa investirà in modo sempre più importante sulla trasformazione digitale degli stati membri: ci stiamo affacciando a una nuova era di importanti opportunità e altrettante sfide da cogliere, delineando strategie e progetti in tempi brevissimi. Per fruire delle risorse, infatti, è necessario predisporre in fretta piani dettagliati”.
Il mercato digitale della PA. Il mercato degli acquisti digitali della PA vale 5,8 miliardi di euro (appena l’8% del mercato digitale italiano) ed è concentrato nelle mani di pochi attori: solo il 15% dei fornitori di ICT lavora con la PA, mentre i primi 10 per fatturato coprono il 60% di quanto speso dalla PA in SPID, ANPR e pagoPA.
Mediamente, una gara pubblica in tecnologie digitali è assegnata 4,5 mesi dopo la scadenza per presentare le offerte. Solo il 49% delle gare è assegnato in meno di 100 giorni. Anche se i tempi stanno migliorando (da una media di 167 giorni nel 2012 a una di 80 nel 2019), appaiono ancora incompatibili con quelli dell’innovazione digitale. Consip gestisce per tutte la PA gare relative a soluzioni digitali. Quelle già attivate e utilizzabili hanno un valore complessivo di 5,5 miliardi di euro, il 72% già speso dalle PA. Nel 2020 sono state aggiudicate 55 gare di ICT, 22 bandite nell’anno in corso.
“Le gare pubbliche sono ancora pensate e gestite con la principale preoccupazione di prevenire ricorsi e contenziosi, mentre ancora troppo poche PA cercano di acquisire nel minor tempo la migliore soluzione disponibile – dice Alfonso Fuggetta, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale -. L’Italia deve produrre procedure di acquisto chiare, che favoriscano la collaborazione con le imprese, e contrarre il tempo per assegnare una gara di soluzioni digitali. Il vero ostacolo oggi non è la carenza di risorse, ma la povertà di competenze, progettualità e managerialità delle amministrazioni”.
Il procurement pubblico. Nel 2019 la spesa per l’acquisto di beni e servizi sopra soglia da parte delle PA è arrivata a 170 miliardi, il 9,5% del PIL italiano, un valore raddoppiato in 7 anni. E nel 2020, dei 180 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato tra decreto Cura Italia e decreto Rilancio, 26,4 miliardi sono stati gestiti attraverso gare pubbliche, con un ulteriore impulso al sistema di procurement.
La normativa sui contratti pubblici però appare oggi incompleta, instabile, frammentaria e incoerente. A oltre 4 anni dalla pubblicazione del Codice dei Contratti Pubblici sono stati adottati solo 24 dei 45 provvedimenti attuativi necessari a renderlo pienamente operativo. E le PA italiane faticano a collaborare con l’offerta, in particolare quella di soluzioni digitali. Dopo 4 anni dall’introduzione, le PA italiane hanno fatto modesto uso delle procedure competitive con negoziazione, dei dialoghi competitivi e dei partenariati per l’innovazione (introdotte per aumentare le collaborazioni con le imprese): appena 326, di cui solo 27 per l’attuazione dell’agenda digitale.
“È di vitale importanza ripensare il procurement pubblico, ancora vittima di un pregiudizio che lo vede fonte di inefficienza, invece che una potente leva per la collaborazione tra imprese e PA per la trasformazione digitale dell’Italia – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale -. La PA, per giocare un ruolo di regista, deve dotarsi di chiare regole di ingaggio e collaborazione con i privati. È necessario rendere operativo il Codice dei Contratti Pubblici, favorendo finalmente la collaborazione tra PA e imprese”.
Gli enti locali. Solo il 36% dei comuni italiani ha nominato il proprio Responsabile per la Transizione al Digitale e, tra questi, meno di un terzo possiede competenze digitali specifiche. Il cloud è ormai una realtà consolidata tra i comuni: oltre il 50% ne faceva uso nel 2019, un altro 36% ne è a conoscenza e solo il 26% non conosce il piano Cloud della PA. Il 42% dei comuni non eroga servizi digitali mentre solo il 13% adotta il digitale in maniera pervasiva. I comuni più digitali sono quelli di maggiori dimensioni e al nord Italia.
Solo il 13% degli enti locali italiani adotta una gestione associata di soluzioni digitali, nelle diverse forme possibili. Tipicamente, si tratta di comuni di piccole o medie dimensioni (tra i 5.000 e i 20.000 abitanti) concentrati nel nord-est nel Paese, mentre questo modello di gestione è più raro al sud. La collaborazione tra enti porta migliori performance digitali per i comuni più piccoli e una minore spesa pro-capite in digitale.
“Le PA italiane spesso iniziano un processo di trasformazione digitale perché obbligate – dice Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale -. Ciò che le ostacola è un personale numericamente inadeguato, ma anche la mancanza di competenze per gestire la trasformazione, che richiede un forte investimento nell’assistenza all’utenza e nel cambiamento culturale dei dipendenti. Il percorso di trasformazione digitale potrebbe essere accelerato dall’identificazione, valorizzazione e diffusione delle buone pratiche sviluppate dalle amministrazioni”.
Premi Agenda Digitale 2020. I progetti “Insieme PPAA” (sviluppato da INAIL), “IP4FVG” (Area Science Park), “Smart Control Room” (Comune di Venezia) e “Sentinella, per la protezione ambientale in mobilità” (Giunko Srl) sono i vincitori dei “Premi Agenda Digitale 2020”, i riconoscimenti assegnati dall’Osservatorio Agenda Digitale a PA e PMI/startup che si sono distinte per progetti di digitalizzazione in ambito pubblico.