ADAPT ha diffuso l’ottavo Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2021)
ADAPT ha diffuso la VIII edizione del Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia, indagine condotta annualmente dai ricercatori e dottorandi della Scuola di Alta Formazione di ADAPT, coordinata da Michele Tiraboschi, sulla base dei testi di contratti raccolti nella banca dati «Fare Contrattazione» (www.farecontrattazione.it).
Il Rapporto contiene l’esame di tutti i 34 rinnovi dei CCNL sottoscritti nel 2021 dalle federazioni sindacali aderenti a Cgil, Cisl e Uil, e una disamina, lungo tre settori economici, sull’applicazione del modello di c.d. decentramento organizzato; nonché l’analisi della contrattazione decentrata con particolare riferimento a 386 accordi di secondo livello e focus tematici e longitudinali su crisi di impresa, contratto di espansione, politiche attive, costruzione dei profili HR e smart working.
I 34 rinnovi nazionali siglati nel corso del 2021, in netta crescita rispetto all’anno precedente, consegnano l’immagine di un rinnovato protagonismo degli attori delle relazioni industriali, nonostante le difficoltà legate alla situazione pandemica. L’incremento del numero di rinnovi siglati complessivamente negli ultimi anni può essere spiegata con la sempre più ampia specializzazione settoriale che i Rapporti ADAPT osservano almeno dal 2017.
L’analisi della totalità dei rinnovi dei CCNL conferma il sostanziale disallineamento, per i settori industriali, con i meccanismi fissati nel Patto della fabbrica del 2018. Gli aumenti dei minimi retributivi vengono fissati ex ante e appaiono completamente sganciati dall’IPCA previsionale: approccio che peraltro si riscontra anche nei settori non industriali. Alcuni meccanismi peculiari prevedono invece una doppia dinamica salariale, costituita da un aumento con importi certi e un aumento basato sull’andamento inflattivo (un solo caso – CCNL Igiene ambientale- ha rimandato la parte economica a una seconda fase e non prevede dunque aumenti dei minimi tabellari).
Si segnala comunque in molti casi l’adattamento formale della struttura retributiva alle indicazioni contenute nel Patto della fabbrica in cui viene disposta la distinzione tra trattamento economico minimo (TEM), che corrisponde all’incremento dei minimi tabellari, e trattamento economico complessivo (TEC): oltre a una precisa delimitazione degli elementi che compongono il TEC, i rinnovi valorizzano i fondi contrattuali di assistenza sanitaria integrativa, nonché i fondi previdenziali di settore.
Alcuni rinnovi, riferiti non solo al sistema confindustriale, forniscono per la prima volta una copertura sanitaria a tutti i lavoratori del settore (CCNL aziende conciarie e CCNL farmacie private). Si rileva poi la “ricomparsa” nei ccnl dei c.d. flexible benefits, ossia la quota annuale di beni e servizi di welfare che le aziende del settore sono tenute a concedere ai propri dipendenti.
Meno lineare appare invece a livello nazionale la regolazione di alcuni istituti, quale l’apprendistato per il quale gli interventi vanno da semplici aggiustamenti della disciplina collettiva, fino a soluzioni più strutturate, che legano i sistemi di apprendistato a quelli di classificazione e inquadramenti del personale.
Resta evidente il ricorso della contrattazione collettiva a “vie di fuga” alle rigidità poste della legislazione statale nella disciplina del mercato del lavoro, soprattutto in materia di stagionalità e contratti di lavoro a tempo determinato.
Prosegue infine il processo “virtuoso” nella ricerca di soluzioni concrete per far fronte alle esigenze di conciliazione vita-lavoro dei lavoratori, attraverso previsioni pragmatiche e di miglior favore rispetto alla legge (per esempio nella gestione di congedi, aspettative e ferie).
La disamina sull’applicazione del modello di c.d. decentramento organizzato, delineato dagli accordi nazionali di categoria e interconfederali, in particolare lungo i settori metalmeccanico, elettrico e della distribuzione cooperativa, ha invece evidenziato deviazioni rispetto ai temi da trattare in sede decentrata (soprattutto con riferimento alla regolazione di elementi retributivi fissi), così come casi di mancato recepimento dei rinvii dei contratti nazionali (soprattutto con riferimento alle possibili sperimentazioni sui sistemi di inquadramento del personale).
Complessivamente, però, si è mostrata la generale capacità della contrattazione collettiva aziendale di trovare compromessi soddisfacenti tra le esigenze delle imprese e dei lavoratori, muovendosi generalmente nel rispetto del principio del favor per i lavoratori e anticipando soluzioni negoziali successivamente estese anche alla contrattazione nazionale di categoria.
L’analisi ha messo in luce anche il tema di tutte quelle aziende, soprattutto di piccole e micro dimensioni, che non sono coperte dalla contrattazione decentrata e che sempre più spesso, soprattutto in alcuni settori labour-intensive soggetti a frequenti pratiche di esternalizzazione (come la distribuzione), tendono a sfuggire all’applicazione dei contratti collettivi nazionali, firmati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Per rispondere a questa criticità, si sta assistendo, anche tra i settori analizzati, a una maggiore flessibilizzazione da parte della stessa contrattazione nazionale, nella direzione, da un lato, di una progressiva regolazione di soluzioni di flessibilità oraria e organizzativa affinché siano direttamente esigibili dalle imprese e dall’altro, di una crescente differenziazione dei trattamenti economici e normativi sulla base del tipo di impresa e attività svolta.
Similmente a quanto rilevato nella scorsa edizione del Rapporto, anche attraverso l’analisi dei 339 contratti collettivi aziendali stipulati nel 2021, si è osservata la tendenza a non sfruttare puntualmente le deleghe concesse dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali. Al contrario, come si è già visto, la contrattazione di secondo livello tende spesso a trovare autonomamente le soluzioni negoziali più idonee a soddisfare le singole e contingenti esigenze aziendali, e questo, talvolta, addirittura in diretto contrasto con le previsioni contenute all’interno della contrattazione collettiva di settore.
La contrattazione aziendale ha inoltre dato origine a soluzioni innovative relative all’organizzazione del lavoro, legate principalmente all’introduzione della digitalizzazione all’interno dei processi produttivi delle aziende, alla gestione della salute e della sicurezza, e alla flessibilizzazione dell’orario lavorativo. Ulteriore tendenza della contrattazione collettiva di secondo livello del 2021 è la valorizzazione delle competenze e della professionalità della forza lavoro, sia attraverso schemi retributivi parametrati parzialmente su tali indicatori, che nel potenziamento del ruolo della formazione per garantire l’occupabilità dei lavoratori sia in chiave di politiche attive e passive del lavoro.
Per quanto riguarda, invece, i 47 rinnovi dei contratti provinciali per gli operai agricoli e florovivaisti, sottoscritti tra il 2020 e il 2021, essi dispiegano strumenti e azioni (in particolare, attraverso il rafforzamento della bilateralità territoriale), che intercettano soprattutto la salute e sicurezza sul lavoro, la legalità dei mercati del lavoro, la continuità occupazionale, la tutela del potere d’acquisto dei lavoratori (in particolare, attraverso aumenti ai minimi contrattuali compresi tra l’1,4% e il 2,5%); il sostegno sanitario e sociale.
Quanto ai focus tematici sulla contrattazione è stato analizzato un primo campione di 338 casi di crisi aziendali, caratterizzati da una pur minima proiezione pubblica sui media digitali online. La maggior parte delle notizie raccolte ha riguardato il settore della metalmeccanica (39% dei casi). Seguono l’industria alimentare (8,3%), il commercio (7,1%) e il tessile-abbigliamento-moda (TAM) con il 7,1% dei casi. Nel 64% dei casi di vertenze raccolti è stato possibile trovare notizia almeno di un accordo firmato da azienda e sindacati (217 casi). In questo sottoinsieme, i casi per i quali siano state rinvenibili solo notizie di accordi funzionali all’attivazione di cassa integrazione straordinaria, anche con contratti di solidarietà e/o riduzione degli esuberi, rappresentano il 29,5% del totale. Solo in una quota minore di casi (12%), gli esuberi sono stati gestiti anche con il ricorso alle politiche attive.
Il rapporto include poi la rassegna ragionata di 9 contratti di espansione stipulati in Italia tra il 2019 e il 2021, la quale ha mostrato il crescente interesse delle parti sociali verso questo strumento contrattuale, che viene ormai adottato in maniera frequente. Si nota come, parallelamente a una più ampia diffusione, stia mutando la natura di tale istituto, sempre più finalizzato alla risoluzione di situazioni, attuali o potenziali, di crisi, trascurando, almeno parzialmente, gli obiettivi maggiormente ambiziosi ad esso connessi, in primis il c.d. invecchiamento attivo dei lavoratori più anziani coinvolti nonché, in alcuni casi, le finalità di “politica attiva” legate ai piani di formazione e riqualificazione.
Proprio a questo riguardo, è stata condotta un’analisi della contrattazione collettiva in materia di politiche attive e formazione. Clausole di vario genere che, per natura e finalità, prevedono interventi di orientamento professionale, intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, ricollocazione e formazione. In alcuni (sporadici) casi, le parti assumono anche impegni in materia di ricollocazione nella gestione delle transizioni occupazionali, in caso di scompensi e squilibri del mercato del lavoro a livello territoriale, oppure per la costituzione di banche dati per l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, pur mancando termini da rispettare od obiettivi oggettivamente misurabili.
Inoltre, è stato indagato il ruolo della contrattazione collettiva nazionale nella costruzione dei profili professionali afferenti all’area della gestione delle risorse umane che operano in aziende di diversi settori. Dalla lettura congiunta dei sistemi di classificazione e inquadramento dei 22 CCNL più applicati per numero di lavoratori, è emersa una differente considerazione delle figure afferenti all’area della gestione delle risorse umane che può essere ricondotta a tre principali linee di tendenza: l’assenza di riferimenti alle figure e alla più generale area, il richiamo alle figure di quest’ambito tra le esemplificazioni dei profili professionali a diversi livelli e una terza modalità che descrive attentamente i contenuti professionali oltre che a farne un richiamo nominale.
Infine, comparando le singole clausole del Protocollo sul lavoro in modalità agile sottoscritto dalle parti sociali e dal Ministero del lavoro il 7 dicembre del 2021 con quanto previsto sino ad oggi da parte di un campione di 250 accordi aziendali e nazionali di lavoro agile stipulati tra il 2012 e il 2021 (già previamente analizzato all’interno della precedente edizione del Rapporto – La contrattazione collettiva in Italia 2020, ADAPT University Press, 2021, pp. 315-396) emerge che le previsioni del Protocollo stesso influenzeranno notevolmente la produzione collettiva post-emergenziale.
Potete trovare tutte le risultanze riguardanti gli altri ambiti del rapporto nell’executive summary disponibile open access a questo link (insieme alla nota metodologica e all’indice analitico). Il rapporto integrale è invece disponibile per l’acquisto su Amazon.