“Accomodamenti ragionevoli” e rispetto delle condizioni di lavoro
Con sentenza 23 febbraio 2021, n. 4869, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulla disciplina afferente agli ‘accomodamenti ragionevoli’, ricomponendo il quadro degli orientamenti dominanti espressi dalla Suprema Corte con riferimento a tale istituto.
Nell’ipotesi di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore che determini l’impossibilità per lo stesso di svolgere la prestazione lavorativa, il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto di lavoro a condizione che:
- non vi siano posizioni lavorative libere compatibili con il residuale stato di salute del lavoratore e che prevederebbero lo svolgimento di mansioni equivalenti o inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte dallo stesso (obbligo di repéchage) e
- non sia possibile adottare ‘accomodamenti ragionevoli’ senza che siano sostenuti sproporzionati oneri finanziari o realizzate incisive modificazioni dell’assetto organizzativo dell’impresa.
L’ordinamento vigente stabilisce che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ‘accomodamenti ragionevoli’ nei luoghi di lavoro affinché al lavoratore con disabilità sia garantita la piena eguaglianza con gli altri lavoratori; ciò a condizione che, come anticipato, detti adattamenti i) comportino un onere finanziario proporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche dell’impresa e ii) siano attuabili nel rispetto delle condizioni di lavoro dei colleghi del lavoratore con disabilità (art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 e art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità).
Il vigente ordinamento non offre una definizione unitaria di ‘disabilità’, composta solo in sede giurisprudenziale. Ai fini dell’applicazione delle norme in tema di accomodamenti ragionevoli, il prevalente orientamento giurisprudenziale intende per disabilità una ‘limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di eguaglianza con gli altri lavoratori’ (Corte di Cassazione, sentenza 26 ottobre 2018, n. 27243).
L’adozione di ‘accomodamenti ragionevoli’ trova, quindi, come limiti invalicabili:
- l’organizzazione dell’impresa e, in particolare, il mantenimento degli equilibri finanziari della stessa;
- il diritto degli altri lavoratori alla conservazione delle condizioni di lavoro attuali, in modo che sia garantita la valorizzazione dell’esperienza e la professionalità acquisita.
Il delicato punto di equilibrio tra i) il diritto del lavoratore con disabilità a non essere discriminato, ii) il diritto dell’imprenditore ad organizzare l’azienda secondo le proprie insindacabili scelte e iii) il diritto degli altri lavoratori di mantenere le condizioni lavorative consolidate risiede nell’adozione di ‘accomodamenti necessari e appropriati che non determinino un carico sproporzionato ed eccessivo’ per l’imprenditore.
A titolo esemplificativo, e ferme restando le condizioni di cui ai precedenti punti 1) e 2), possono configurarsi come ‘accomodamenti ragionevoli’ i provvedimenti e le soluzioni organizzative di seguito elencati:
- la sistemazione dei locali;
- l’adattamento degli strumenti di lavoro;
- un diverso disciplinamento dei ritmi di lavoro;
- una differente ripartizione delle mansioni;
- la riduzione dell’orario lavorativo.
ArlatiGhislandi e AG Studi e Ricerche