6 trappole da evitare in tempi incerti
Viviamo in un mondo imprevedibile, veloce e senza certezze. La società vorrebbe convincerci che, se siamo intelligenti, abbiamo gli strumenti per affrontare qualunque difficoltà. Le nostre conversazioni sono intrise di giudizi, opinioni, prese di posizione su ogni fatto e ogni persona. Ci crediamo molto razionali. In realtà non lo siamo affatto.
Il nostro cervello indica che rimangono vivi in noi meccanismi ancestrali: il cervello rettile, dedicato agli istinti di sopravvivenza, rapido, intuitivo, veloce, impreciso. E quello prefrontale, che si occupa del ragionamento razionale e del linguaggio, lento, si annoia facilmente e spreca molta energia. Quando prendiamo decisioni economiche, finanziarie, di lavoro o nella vita, per uscire da una situazione di emergenza sono entrambi i cervelli a essere coinvolti, non solo il pensiero razionale. Con questo approccio Daniel Kahneman ha vinto il Nobel per l’economia nel 2002.
Come imprenditori, imprenditrici, manager, professionisti, come esseri umani siamo anche il frutto degli stereotipi della cultura nella quale siamo immersi, delle esperienze fatte e dell’educazione ricevuta. Alcune àncore che funzionavano nella società del ‘900 oggi sono saltate: mestieri e imprese che si tramandavano di padre in figlio, coerenza fra gli studi fatti e il lavoro che ne seguiva, la sicurezza del posto fisso nella stessa azienda per molti anni…
Oggi ci confrontiamo con l’instabilità come unica vera costante.
Allora cerchiamo di aggirare 6 trappole che sono sul nostro cammino:
- Il Mito del Controllo. Vorremmo che tutto andasse al meglio, come piace a noi. Ma ci sono cose che non possiamo governare. I “controllori” sono spesso preda di preoccupazioni, ansie e paure profonde, perché sanno di vivere in un mondo che non gira attorno a loro. Si agitano nel tentativo di impacchettare la realtà in categorie preconfezionate. I controllori diventano così capi disconfermanti, di cui i collaboratori temono il costante giudizio negativo. Coloro che criticano spesso hanno come primo movente la paura. Dalla paura nasce la rabbia, la frustrazione. Più una critica è rabbiosa, acida, studiata per ferire, più esprime il livello di frustrazione e insoddisfazione della persona che la muove. Quindi delega di più e accetta l’imperfezione.
- Voler Piacere a Tutti: Siamo animali sociali. È inevitabile che quello che pensano gli altri di noi sia rilevante. Oggi i social offrono facili vetrine. Quindi sviluppare una sorta di dipendenza dalla reazione degli altri è ancora più diffuso. Un conto è cercare il feeling e la compagnia di persone a cui siamo affezionati, altro è essere dipendenti dalla approvazione di chiunque interagisca con noi. Seleziona le persone di cui ti preme il giudizio.
- Non saper gestire le Critiche: Una critica è sempre fastidiosa, ferisce il nostro amor proprio. Arrabbiarsi per le critiche e rimuginarci sopra dà alla critica e a chi l’ha mossa troppo potere. Una critica dice poco della persona criticata e molto di chi la esprime. Ci sono due casi in cui una critica è utile e diventa un momento di crescita personale: innanzi tutto, se chi critica non lo ha fatto per ferirci. Poi, se la critica ha un contenuto utile e interessante per chi la riceve, e apre un’opportunità di riflessione.
“L’unico modo per non essere criticati è non dire nulla, non fare nulla, non essere nulla”, sosteneva Aristotele. - Avere Paure incontrollabili: Nel corso della vita la paura prende molte forme: paura della morte, della perdita, degli altri, dell’errore. Ma il dolore è inevitabile parte del gioco, è qualcosa che non dipende da noi, ma da ciò che accade. La sofferenza, invece, dipende dal peso che decidiamo di dare al dolore che stiamo provando. Dipende da noi la qualità della nostra interpretazione. Accettare che possano accadere anche cose negative non è un’attitudine istintiva, è una scelta. Qualcosa che dobbiamo imparare, acquisire, allenare e possiamo farlo solo se coinvolgiamo la nostra ragione.
- Sfuggire le Responsabilità: come reagiamo e cosa facciamo di ciò che ci capita è una nostra responsabilità. Da un’ingiustizia può nascere vendetta oppure perdono. Da una sconfitta può nascere rabbia oppure accettazione. Dalla ricchezza può nascere avidità o gratitudine e generosità. Dal successo può nascere arroganza o desiderio di condividerlo. Assumere la responsabilità toglie gli alibi. E ci dà l’energia per agire. Il senso di responsabilità porta all’azione e un’azione efficace allena al coraggio. A non trovare scuse, a smettere di lamentarsi per quello che non va.
- Attendere anziché agire. Agire comporta dei rischi e per questo tanti restano fermi. Quando siamo piccoli, per proteggerci, i nostri genitori ci indicano tutte le cose che non possiamo fare. Per un po’ i divieti riescono a tenerci lontani dal pericolo, anche se spesso ci rendono meno abili a gestirlo. Ma poi, crescendo, questi «no» ci condizionano e ci rendono paurosi. Con il tempo dubbi, insicurezze, paure ci impediscono di vivere la vita che vogliamo e di raggiungere gli obiettivi che ci potrebbero dare vera soddisfazione. Sono le zavorre più pesanti che ci portiamo dietro nella vita.
Allora, che dobbiamo fare?
Riconoscere le trappole, aggirarle e affrontare i nostri limiti come un atleta.
Il tennista André Agassi, al giornalista che gli chiedeva “Cosa ti piace fare di più?” Lui rispose, “Giocare e vincere.” E la seconda? chiese il giornalista. “Giocare e perdere.” rispose Agassi. Fin da giovane, lo sportivo impara ad apprezzare il valore dell’impegno per migliorare la performance. Impara subito anche a perdere. E a non sentirsi in colpa quando perde, a dare per scontato che la sconfitta è parte del gioco. Impara a riconoscere il valore degli altri giocatori, compagni di squadra o avversari. Quando perde un atleta non scappa, non si nasconde. Torna ad allenarsi con più determinazione di prima. Impara dalle sconfitte molto più che dalle vittorie. Trae piacere da quello stato di grazia in cui lo sforzo scompare e rimane solo la bellezza di quello si sta facendo.
La Frase di Oggi
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Winston Churchill