5 motivi per NON aprire un e-commerce
[dropcap]L[/dropcap]a crisi, la mancanza di clienti, o il calo nella loro affluenza, portano sempre più imprenditori ed esercenti ad esplorare le opportunità offerte dalla comunicazione web. Questo si evince anche dai dati presentati da ISTAT non più tardi dello scorso dicembre, che parlano di un 67,3% di imprese italiane presenti sul web (in leggero aumento rispetto al 2012), e di un 11,7% che dichiara di offrire sul sito servizi per l’acquisto o la prenotazione on-line.
Quindi se da un lato questa tendenza è positiva, visto che notoriamente le imprese italiane faticano a vedere il web come uno strumento efficace, dall’altro sta esplodendo un “entusiasmo digitale” che rischia di far crollare anche le ultime aziende sane.
Decidere di aprire un sito e-commerce può quindi risultare la scelta più sbagliata, se prima non vengono considerati alcuni fattori fondamentali, che possono compromettere seriamente la riuscita del progetto.
Ecco quindi 5 buoni motivi per NON aprire un sito e-commerce:
1. L’e-commerce NON è un sito come un altro
Sembra una banalità, ma non lo è affatto. Creare un e-commerce COSTA. Il prezzo può anche variare considerevolmente in relazione alle funzionalità che si vuole inserire.
È quindi fondamentale avere le idee chiare su che tipo di e-commerce si vuole creare, quali sono le funzioni più o meno personalizzate che si intende includere, sia in prima battuta che in un secondo momento.
2. Target: mondo
Qualsiasi attività di comunicazione o di vendita prevede l’identificazione dei mercati target, ovvero a chi intendo vendere i prodotti del mio e-commerce; “a tutti” non è una risposta corretta a questa domanda.
Definire un target è fondamentale, anche solo per capire in che lingua creare l’e-commerce.
Non è però solo questione di scegliere un Paese a cui vendere, è necessario entrare più nel dettaglio, segmentare i mercati, definire precisamente quale o quali sono le tipologie di clienti a cui punto.
3. Compro, rivendo e aspetto i soldi
Un e-commerce ha dei costi, oltre la realizzazione, che vengono ignorati nel 99% dei casi.
Il pagamento con PayPal ha un costo in percentuale su ogni transazione;
il pagamento con la Carta di Credito, attivabile con diverse banche, ha un costo di attivazione che varia dai 200 ai 400 euro, oltre ad una percentuale su ogni transazione; in alternativa su può attivare PayPal Pro, al costo di 30 euro al mese + la percentuale;
la spedizione ha un costo, tipicamente dai 7 euro in su;
in Italia non si può prescindere dall’offrire il pagamento in contrassegno, che ovviamente ha un costo, sui 5-6 euro, oltre al costo della spedizione;
se il pacco va in consegna e il cliente non è in casa, molti corrieri applicano un costo aggiuntivo per il secondo passaggio.
Tutti questi costi fanno sì che il ricavo sulla vendita si assottigli notevolmente, quindi ha senso aprire un e-commerce solo se si ha un elevato margine sul prodotto, che nella maggior parte dei casi significa essere i produttori diretti di ciò che si vende, e non dei rivenditori.
4. Oggi apro l’e-commerce, domani comincio a vendere
Si può aprire il negozio più bello del mondo, ma se non lo si comunica, difficilmente entrerà qualcuno a comprare. È fondamentale mettere a budget un piano di comunicazione per pubblicizzare l’e-commerce, che coinvolga continuativamente i canali web più adatti al target scelto.
Per fare un esempio, Google consiglia di investire non meno di 25 euro al giorno sulle campagne AdWords, mentre una azione strategica sui Social Media non può durare meno di un anno, se si vogliono raggiungere gli obiettivi prefissati.
5. Se gli altri vendono, vendo anche io
È vero che dove c’è concorrenza c’è mercato, ed è vero che il web pone tutti allo stesso livello. Ma fare una lista dei competitor è fondamentale, anche solo per vedere cosa propongono, come comunicano.
L’aspetto più importante però, valido per qualsiasi attività, è capire quali sono le caratteristiche che distinguono il proprio progetto da quello degli altri:
un prodotto innovativo;
funzionalità particolari dell’e-commerce;
un prezzo migliore;
il servizio collegato;
ecc.
Gabriele Carboni lavora con Philip Kotler, padre del marketing moderno, progettando il futuro del marketing. Kotler lo riconosce come guida nell’Impact Marketing. Carboni è noto come “Game-changer” nelle strategie di marketing digitale e influencer di spicco nel marketing in Italia. È coautore con Kotler di “Essentials of Modern Marketing” e del libro “Doers & Dreamers” con Seth Godin e altri esperti. Ha molti anni di esperienza in strategia di marketing digitale, è consulente, formatore e speaker a livello internazionale.
9 Comments
[…] Ecco quindi 5 motivi per NON aprirlo, nel mio nuovo articolo su Il Giornale delle PMI. […]
cliente ha sempre ragione … 😉 grazie per questa perfetta verbalizzazione
un sito di ecommerce è solo uno strumento che deve far parte di una strategia commerciale. senza strategia commerciale lo strumento è inutile come una macchina di formula 1 senza una pista dove correre…
Forma mentis
1) un sito e-commerc costa meno di un negozio fisico
2) il target è il mondo e non la via dove se non c’è passaggio non vendi, proprio per questo anche se vedi tovaglie di cartone avrai più possibilità di essere visto NEL MONDO piuttosto che nel vicolo di Paullo
3) qualsiasi negozio, non botteghe artigiane o produttori diretti, sono rivendite. Un negozio reale ha anche: costi per i commessi, luce, gas, telefono, tasse (studi di settore), occupazione suolo pubblico, costo per la tenda, per l’insegna, ecc.
3a-b) anche in un negozio se mi pagano con Carta ho il costo transazione
3c) se vendo divani, o mobili, o oggetti che non stiano in un auto, qualsiasi negozio applica costi di trasporto: dai 30euro in su per acquisti inferiori ai 400 euro
3d-e) il contrassegno o il secondo passaggio del corriere (spedizione) sono pratiche diffuse e si più tranquillamente prendere accordi preventivi con i corrieri (io ti garantisco x spedizioni tu mi dai dei vantaggi)
4) nessun negozio vende dall’oggi al domani, nemmeno i temporary (negozi a tempo tanto in voga nelle grandi città), la pubblicità (volantini ecc) ha un costo anche nella vita reale; ovvero se vuoi farti conoscere devi fare pubblicità poi dono mille anni forse il passaparola farà il resto. Ricordiamoci sempre: se hai ma non sei puoi essere chi vuoi ma sempre ultimo sarai quindi scalare il monte della credibilità ha dei costi. Questi costi possono essere: le promozioni, gli sconti, i saldi, gli omaggi, ecc. In ogni caso, vendere è il risultato di un somma di sinergie collegate, pesando bene il proprio budget si possono ottenere risultati buoni. Ovviamente si deve conoscere molto bene il proprio prodotto, prima di conoscere il target a cui venderlo, per il semplice fatto che se vendo smartphone ma poi non so usare android avrò poca credibilità. Un po’ come quei ristoranti che ti offrono cibo macrobiotico ed in cucina mangiano salamelle.
5) Se pariamo dall’idea che esistendo concorrenza non avremo successo aziende come Apple non avrebbero mai prodotto l’iPhone (ricordiamoci che Nokia deteneva il mondo della telefonia) oppure Google non sarebbe mai nata (AOL per dirne una).
Questi 2 casi, veri e propri apripista all’idea del “se ho l’idea, se ho un minimo di risorse, se ho coraggio” ce la posso fare, insegnano a tutti alcuni aspetti. Non è importante il prodotto ma l’innovazione che ci si mette, non è importate il mercato ma come ti rivolgi allo stesso, i bisogni del cliente sono la sua stessa debolezza, non sei l’ultimo che arriva con il solito prodotto in un mercato saturo ma se ci provi vuol dire che pensi di essere il migliore quindi sfrutta l’aspetto che credi possa mancare nei tuoi concorrenti.
Detto tutto questo ricordiamoci il primo fondamentale punto: un negozio virtuale può anche constare 20mila euro ma con gli stessi 20mila euro nel mercato reale ci compri forse le chiavi per la porta.
Simpatico!! e realistico, relativamente al fatto che in qualsiasi modo la si voglia mettere, chi si imbarca nella vendita di qualsiasi tipo, deve avere le palle: crederci sopra ogni considerazione ed avere la competenza e la costanza per portare avanti la cosa nonostante le batoste che arriveranno.
E non è da tutti.
Il punto è questo credo.
Credo che i motivi per aprirlo (o per non aprirlo) dipendano dalla analisi dei molti fattori che sono stati descritti nell’articolo e nei successivi post, tuttavia, se il prodotto è buono e l’e-commerce è opportunamente pianificato, di solito i risultati sono altrettanto buoni.
Certo, non ci sarà da pagare una persona che stia nel negozio fisico, ma qualcuno che gestisca il negozio virtuale è necessario e spesso costa di più di un commesso (anche se non dovrà lavorarci il 100% del suo tempo).
E’ opportuno considerare che le risorse delle aziende non sono infinite (anche quelle mentali): alcuni fortunati e-commerce possono produrre richieste superiori a quelle gestibili dalle strutture aziendali e causare, ad esempio, un pessimo ritorno di immagine o aggiungere costi per una più complessa gestione delle commesse.
ciao, con tutto rispetto direi che in questo post il titolo è completamente sbagliato, si dovrebbe intitolare: ecco 5 punti da considerare se apri un e commerce. Se vuoi cambiare gran parte delle cose in italia è una delle poche strade percorribili. Con un anno di affitto e utenze di un negozio fisico crei, gestisci e pubblicizzi un e commerce anche a livello internazionale.
Ciao Daniel, grazie per il commento.
Da un certo punto di vista sono d’accordo con te, dall’altro il mio titolo provocatorio dovrebbe servire a far soffermare imprenditori e negozianti su quello che è il “contorno” del sito e-commerce.
Ho conosciuto troppe persone che si sono lanciate letteralmente nel vuoto, con la convizione che un e-commerce avrebbe salvato la loro azienda, o li avrebbe fatti diventare ricchi. Ovviamente non si è verificato nessuno dei due casi.
La voce costi viene spesso sottovalutata. Spesso che mi capita di incontrare imprenditori che vogliono un ecommerce senza sapere bene cosa vogliono vendere e quali sono i costi.