Giornata mondiale del Made in Italy: cosa frena l’ascesa dell’eccellenza italiana nel mondo?

 Giornata mondiale del Made in Italy: cosa frena l’ascesa dell’eccellenza italiana nel mondo?

626 miliardi di Euro, è questo il valore delle esportazioni italiane nel mondo. Sempre secondo Istat, il 2023 ha registrato una lieve flessione nell’export verso i mercati dell’Eurozona (-2,4%), mentre aumenta la percentuale verso i mercati extra UE (+2,5%), con un focus particolare nell’area Opec (+12,3%).

Made in Italy sempre più apprezzato, non solo nei tre settori – Fashion, Food and Furniture- che tradizionalmente vengono associati all’eccellenza italiana, ma anche nel mondo dei macchinari e delle apparecchiature, con 101.134milioni di euro, seguiti dalla produzione di prodotti in metallo.

Il Made in Italy, in ambito internazionale, viene percepito come garanzia di qualità dei materiali, di grande ingegno progettuale, di accuratezza delle lavorazioni e nel design, caratteristiche che concorrono a una riconoscibilità immediata della manifattura italiana.

In occasione della giornata mondiale dedicata al Made in Italy, che ricorre il 15 aprile, diventa importante fare il punto su come questo fiore all’occhiello nazionale possa essere tutelato per continuare a crescere e rafforzare la propria reputazione, in un mercato globale sempre più competitivo.

Burocrazia, difficoltà di accesso al credito, scarsità di artigiani e lavoratori altamente specializzati, fino al costo del lavoro e tassazione tra i più alti d’Europa, rappresentano un mix erosivo che mina la stabilità delle Pmi italiane, cuore del tessuto imprenditoriale italiano, mettendo a rischio know how e tradizioni produttive di inestimabile valore.

La forza del Made in Italy, quindi, da sola non basta: in ogni settore produttivo il problema è percepito come reale e si demanda alle istituzioni una presenza più incisiva per permettere alle Pmi di essere competitive e di crescere.

Roberto Impero, Ceo di SMA Road Safety, eccellenza italiana a livello internazionale nella produzione di dispositivi stradali salvavita, come le barriere laterali e gli attenuatori d’urto, non nasconde la sua preoccupazione “la competizione straniera nel nostro settore sta causando la vendita di prodotti a un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato, rendendo insostenibile per i produttori nazionali stare al passo. I costi della manodopera, le normative sulla sostenibilità e la sicurezza dei lavoratori, oltre alle tasse, gravano poi in modo importante sulla competitività del prodotto italiano rispetto a quello importato. C’è poi un problema di carattere qualitativo: le aziende italiane sono apprezzate e riconosciute nel mondo per l’alta tecnologia dei prodotti e per la conformità ai principi ESG, ma purtroppo nel nostro paese vengono impiegate barriere turche, albanesi o coreane senza alcun controllo di conformità dei produttori ai medesimi principi. Di fatto basta un certificato CE per installare prodotti a basso costo e di scarsa qualità, danneggiando i produttori nostrani e impattando negativamente sulla sicurezza di chiunque viaggi su strada. 

È quindi fondamentale intensificare i controlli sulla qualità delle soluzioni straniere e in particolar modo sull’affidabilità delle aziende produttrici. Qualora, infatti, un prodotto preposto a salvare vite umane non dovesse funzionare, in che modo potremo rivalerci legalmente con il produttore che ha sede legale in Turchia, Albania o Corea?”.

Nel mondo dell’automazione, Paola Veglio, a capo di Brovind Vibratori S.p.A., azienda che realizza soluzioni personalizzate di movimentazione industriale su base vibrante, racconta che “l’accuratezza progettuale e la continua ricerca tecnologica dei nostri macchinari sono l’unica ancora di salvezza di fronte a una concorrenza estera, sempre più agguerrita. La distanza che separa le istituzioni dalle aziende, specialmente le Pmi, è enorme, spesso siamo abbandonati a noi stessi nella gestione dei problemi, così come delle iniziative che generano valore aggiunto per il territorio. Il costo del lavoro, poi, svantaggia terribilmente le Pmi italiane rispetto all’estero, sia nel reperimento delle risorse, sia nella competitività di prodotto. Mi chiedo inoltre come sia possibile che nel nostro paese certi materiali o soluzioni stranieri superino i controlli che, di norma, dovrebbero essere rigidi, così come accade ai nostri macchinari esportati. Fino a quando perdureranno queste disuguaglianze, sarà sempre più difficile per le aziende “sane ed etiche” competere equamente. Norme oggettive che stabiliscano parametri su materiali, sicurezza, ambiente e tutela del personale sarebbero certamente di grande aiuto. Sul fronte della carenza di personale qualificato penso che sia necessario, da parte di Pmi e istituzioni, proporre una narrazione diversa dell’operaio e dell’artigiano, il cui lavoro è sempre più tecnologicamente avanzato e ricopre un ruolo fondamentale nel portare alta nel mondo la bandiera dell’eccellenza produttiva italiana”.

Antonio Franzese, Ceo di Media Engineering, azienda capitolina all’avanguardia nei settori dell’olografia e dell’AI, racconta “l’Italia conta su vere e proprie eccellenze nel campo dell’innovazione tecnologica; come Media Engineering siamo orgogliosi di guidare il futuro dell’olotrasporto e dell’interazione uomo-macchina. L’obiettivo è creare soluzioni che migliorino concretamente la vita delle persone e puntiamo a rendere il Made in Italy in questo specifico settore  un punto di riferimento globale. Per tutelare la competitività internazionale delle aziende italiane, nel nostro campo, è necessario un approccio multifocale delle istituzioni, con maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, la promozione di una formazione specializzata per preparare professionisti qualificati, l’introduzione di incentivi all’innovazione e la protezione della proprietà intellettuale. Inoltre è essenziale facilitare l’accesso ai mercati internazionali attraverso supporto strategico e accordi commerciali, fornendo assistenza concreta alle start-up e alle PMI per sostenere la loro crescita e l’internazionalizzazione, e creando un ecosistema che non solo stimoli l’innovazione ma anche tuteli e valorizzi le creazioni italiane nel panorama globale“.

Alessandro Gatti, founder di maisonFire, azienda che produce caminetti green e tecnologici, senza canna fumaria, spiega che “ciò che ci permette di competere con le grandi aziende inglesi, irlandesi e cinesi è il design italiano che caratterizza i nostri camini e le nostre ambientazioni, la cura del dettaglio e la qualità del servizio pre e post vendita, tutti aspetti molto apprezzati, anche all’estero. Da un punto di vista dell’export, sono molte le nazioni che contano su un appoggio istituzionale per la creazione di reti e collaborazioni commerciali, cosa che nel nostro paese andrebbe potenziata. Altro aspetto che ci penalizza è senza dubbio legato ai processi produttivi che in Italia sono rigidamente regolamentati, oltre al costo del lavoro molto elevato; fattori tutti italiani che in molti paesi stranieri, nostri competitor nei mercati globali, non sussistono. Il nostro è un paese dalle mille risorse; sono fiducioso che le istituzioni possano imparare a valorizzare al meglio l’eccellenza italiana nel mondo, ascoltando di più la voce di chi, quotidianamente, contribuisce a difenderne i valori di eccellenza e innovazione, le Pmi”.

Secondo l’Avvocato Fabio Maggesi, founder dello studio MepLaw, che garantisce nel mondo assistenza legale in lingua italiana ai connazionali che gestiscono business all’estero, “è il Made in Italy, per sua natura, ad aver difficoltà d’esportazione: in quanto prodotto d’eccellenza, risulta non replicabile e standardizzabile e si scontra per questo con svariate limitazioni imposte dai diversi paesi stranieri. A questo si aggiunge l’imposizione fiscale italiana che lascia poco spazio alle aziende per investimenti oltre confine, bloccando potenziali opportunità di differenziazione del business alle Pmi nostrane. Lo stato italiano, a tutela del Made in Italy, dovrebbe imporre migliori linee comunicative per distinguere il prodotto “italiano” dal Fake (o dal fac-simile). Spesso è proprio la mancanza di informazioni a non permettere di comprendere, al di fuori dei confini nazionali, le differenze tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. I danni conseguenti sono importanti: impattano sul nostro sistema produttivo e danneggiano l’immagine del prodotto realmente Made in Italy, con ripercussioni in termini di sicurezza, salute e perdita di posti di lavoro. Ciò che si auspica è quindi una maggiore qualità comunicativa del “prodotto 100% italiano” e una migliore politica legata all’agevolazione fiscale per chi ha intenzione di stabilire una propria filiera oltre i confini nazionali”.

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